Romani e rumeni: storie di ordinaria barbarie

A pagina 17, dunque non nelle prime pagine, della Repubblica del 24 febbraio, in fondo alla pagina c’è un articoletto che ha questo titolo: Ventenne ubriaco al volante investe e uccide immigrato. Un giovane di 24 anni, romano, “dopo una serata passata bevendo, fumando spinelli e sniffando cocaina” si è messo alla guida e ha investito e ucciso un operaio rumeno di 31 anni, che lavorava in una ditta, sposato e in Italia da parecchio tempo. Il giovane investitore, operaio anch’esso, una volta giunto a casa e vista l’ammaccatura sulla sua auto, assalito dal dubbio è ritornato indietro ed è andato dai carabinieri per raccontare l’accaduto. Così tornati sul posto hanno trovato il corpo del rumeno.

Sono tempi talmente tristi da suscitare come prima reazione la rabbia per i due pesi due misure che i mass media italiani riservano da un po’ di tempo a questi avvenimenti. Sicuramente se la nazionalità dell’investitore e dell’investito fosse stata rovesciata, le prime pagine di telegiornali e quotidiani avrebbero di questi tempi pubblicato con grande clamore e risentimento la notizia. E non è certo un caso isolato di questa disparità di trattamento. Siamo al punto di desiderare di contrapporre colpe a colpe per arginare l’ingiusta enfatizzazione dei delitti commessi dai non italiani e dai rumeni in particolare. Siamo giunti a tale rozza barbarie che mi viene da contrapporre in modo analogo la notizia pubblicata in questi giorni che gli stupri sono commessi per il 60% da italiani.
L’altro giorno ho ascoltato il racconto di una ragazza che raccontava di essere stata abbandonata dal padre fin dalla sua nascita e di non averlo mai più visto o sentito. Il padre è italiano, tengo a precisare. Ci stiamo imbarbarendo tutti.

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