Di che colore è il calcio?

Mercoledì 3 Febbraio 2016, stadio Olimpico di Roma. Sono le ore 22.10 circa, in campo le squadre Lazio e Napoli. Al 67’ cominciano a piovere dagli spalti ululati e cori razzisti contro i napoletani e il difensore di colore 24enne del Napoli Koulibaly. L’arbitro Irrati quindi sospende la partita per un paio di minuti minacciando la sospensione definitiva se questi non fossero cessati. Decisione clamorosa. Ma, in un contesto di sport sano oggi non sarebbe oggetto di dibattito il coraggio dell’arbitro di sospendere una partita, e non si parlerebbe ancora di discriminazione razziale. E invece se ne parla, ancora una volta. Per sottolineare l’ignoranza di tali gesti basterebbe far notare che gli stessi “tifosi” che hanno insultato il calciatore di colore del Napoli, nello stesso momento, di calciatori di colore in campo ne avevano due: il nigeriano Onazi e lo spagnolo, di chiare origini senegalesi Keita. Che probabilmente incitano tutti i giorni. Da qui ne deriva che il problema non è sempre il razzismo in sé, ma è sociale: in un occasionale avversario il colore della pelle diventa il primo appiglio per screditare anche un ragazzo di 24 anni che fa quello per cui viene pagato. Risultato? Tanta solidarietà da parte dei media e dal mondo dello sport, e settore della Curva Nord della Lazio chiuso per 2 turni per squalifica. Caso chiuso.

Non si dimentichi però che questo non è stato un episodio isolato. Anche il 12 maggio 2013 ci fu una partita sospesa dall’arbitro Rocchi per cori razzisti contro il calciatore del Milan Balotelli in un Milan – Roma. Ma il caso non è da generalizzare per i tifosi romani, anche se, per fortuna, si parla comunque di una piccola frangia. Il 3 gennaio 2013 durante un’amichevole tra Pro Patria e Milan, che di amichevole aveva ben poco, il calciatore ghanese del Milan Boateng ad un certo punto del match, infastidito da cori razzisti, fermò il gioco e scagliò con violenza il pallone in curva verso coloro che lo insultavano, giungendo addirittura alla decisione di lasciare il campionato italiano per motivi di razzismo. Oppure ancora, scavando negli almanacchi, bisogna tornare al lontano 2001 quando, dopo gli attacchi razzisti dei propri tifosi al solo 18enne nigeriano AkeemOmolade, i suoi compagni del Treviso scesero in campo nella successiva partita col volto dipinto di nero in senso di solidarietà. Il ragazzo entrò poi in campo dalla panchina al 40’ del secondo tempo e come per dare un calcio al razzismo, segnò il gol del momentaneo vantaggio dei trevigiani. Quegli stessi tifosi razzisti erano presumibilmente ancora seduti nelle tribune, ma furono costretti a tacere stavolta.

La solidarietà in questi casi non manca mai, come è accaduto anche nel caso del difensore napoletano che ha ricevuto l’affetto dei suoi tifosi al rientro a Napoli con degli striscioni dedicati, ma spesso questi innumerevoli episodi di inciviltà vengono lasciati cadere troppo facilmente nel dimenticatoio. Non si dimentichi che lo sport è sinonimo di competizione fra atleti, ma che prima degli atleti ci sono degli uomini. E la denuncia è il primo passo per combattere questo fenomeno.

Per concludere, è riportata la citazione della saggezza di un ragazzo di soli 20 anni, Keita BaldèDiao(di cui si è parlato all’inizio e che quest’ultima vicenda l’ha vissuta), che con il suo Tweet ha ispirato il titolo dell’articolo e con la speranza che ispiri anche molte persone: “Questo gioco è molto di più che nero, bianco o verde! Tanta ammirazione per te amico!” (riferendosi al suo collega avversario Koulibaly).

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