Lettera aperta da un liceo flegreo
Scuole senza sogni

Caro Direttore,
come sai insegno filosofia e ho girato tra l’altro ormai quasi tutti i licei flegrei. Si parla di ragazzi e giovani, dei loro sogni e dei loro limiti in modo spesso retorico. Io con i ragazzi flegrei ci convivo con piacere da anni tutti i giorni e trovo che noi adulti dovremmo occuparci di più dei loro sogni ma di quelli notturni, non di quelli ad occhi aperti. Come faccio da anni, cerco disperatamente – urtando contro burocrazia, partizioni disciplinari e orarie, programmazioni cartacee -, di far arrivare ai ragazzi un segnale fondamentale: sentire che nella cultura essi devono trovare in primis se stessi, la loro vita, i loro problemi, sentimenti più importanti. Altrimenti non il latino ma la cultura umanistica tutta diviene lingua morta, culto dei defunti. La cultura dovrebbe insegnare ad interpretare gesti, comportamenti, parole, sogni in cui appaiono, spesso travestiti, sentimenti, emozioni, pensieri: insomma a conoscere e affinare l’interiorità nostra e di chi ci circonda. Quando con quel po’ di mestiere ormai acquisito, provo a dire agli studenti di come sia importante decifrare segni e sogni, basta un niente per avere la loro attenzione e partecipazione e il desiderio di capire e comunicare viene fuori prepotentemente. Sono tanti che mi si avvicinano dopo una spiegazione: c’è chi mi racconta di pensieri che lo spaventano, chi di sogni in cui accadono cose tremende, atti di aggressività; chi di non riuscire a piangere da anni magari dopo un trauma, altri di vivere con sofferenza l’immagine che gli hanno costruito addosso e che non corrisponde alla sua vera personalità. Io chiedo, ancora una volta: come può l’istituzione scolastica e accademica italiana non pensare e sperimentare un’educazione del sentire? Già nel 1876 Nietzsche scriveva: “…come se avesse un qualche valore far di qualcuno un essere che pensa e argomenta correttamente, se prima non si è riusciti a far di lui un essere che sente correttamente”. Sono lontano da ogni giovanilismo, come da ogni illusione sugli esseri umani e su me stesso. E tuttavia: come si può sciupare questo fiume in piena, queste risorse umane in formazione, ingabbiandole senza saperle ascoltare autenticamente e senza avanzare proposte didattiche innovative e adeguate? E pur con il più grande disincanto e consapevolezza dei limiti delle giovani generazioni, come si può trascurare di ‘coltivare’ la crescita di queste pianticelle in un paese come l’Italia dove quasi ogni giorno leggiamo di massacri familiari, di violenze e assassini ‘domestici’? Le famiglie da sole non possono farcela e poi possono sbagliare anch’esse: dobbiamo lasciare che siano solo i media, o dobbiamo e possiamo giocare un ruolo, come istituzioni scolastiche, nel formare – a fianco a quelle tecniche che pure non è che fioriscano -, le necessarie competenze intorno ai desideri e ai nodi dell’anima?

13 Commenti su "Lettera aperta da un liceo flegreo
Scuole senza sogni"

  1. Ornella Gonzales y Reyero | 6 novembre 2009 su 18:12 | Rispondi

    Voltaire diceva: “L’ingegno di un uomo si giudica dalle sue domande piuttosto che dalle sue risposte”. Spesso mi accade di ripensare a queste parole, di fronte a interrogativi e riflessioni dei miei ragazzi. Eppure non sempre

  2. raffaele ariante | 7 novembre 2009 su 18:03 | Rispondi

    …magari la maggioranza dei docenti fosse come Nicola Magliulo il quale sente il dovere, il bisogno, la necessità di dare, donare ai suoi studenti, all’Altro gli strumenti del Ragionare secondo Ragione e successivamente creando la posibilità di “riepirli” non solo della Cultura, ma della necessità del saper vivere, del confrontarsi per poi diventare artefici del proprio destino.
    Magliulo forse non è solo a darsi e porsi domende, ma credo che faccia parte di un piccolo esercito che ha la voglia di Fare.
    felice serata

  3. angela Giustino | 8 novembre 2009 su 23:55 | Rispondi

    E’ difficile che le istituzioni cambino se non avviene una trasformazione nei singoli docenti. D’altra parte le istituzioni educative non hanno mai preso a cuore la singolarità della persona anche se nelle programmazioni didattiche si parla sempre di attenzione ai bisogni dei singoli discenti. In realtà tutto dipende dai docenti i quali devono dimostrare, quotidianamente, ai loro allievi, di credere nel loro lavoro che non è una trasmissione di saperi semplicemente, ma è una continua comunicazione con l’altro, attraverso la quale passa la passione per la cultura. Basta questo perchè negli allievi si accenda la consapevolezza di essere considerati, non oggetti in cui depositare aridi saperi, ma degli esseri umani che vivono la tensione della conoscenza, in una delicata fase del loro percorso di esistenza.Di questo hanno bisogno gli adolescenti e i giovani.

  4. Bisogna crederci.Come insegnante elementare ho iniziato con i bambini di 6 a dialogare,continuando fino agli 11,cercando di far avere loro coscienza del sè,cercando di comunicare voglia di domandare,più che risposte confezionate, ho cercato di comunicare voglia di imparare,e,come si diceva nei vecchi programmi,non di riempire un contenitore di nozioni,bensì tirare fuori le capacità,il senso critico e la curiosità per la vita.Ci credevo molto.Dopo decine di anni ho incontrato alcuni(una quarantina) di quei bambini,ormai ventunenni:seri,propositivi,attivi,per nulla sfiduciati,ma grintosi,ognuno con un ‘ottima strada in cui crede.Non voglio dire che è merito mio,per carità,ma se ci crediamo noi educatori,non possiamo che generare autostima e speranze che hanno il sapore di certezze.
    Mettiamocela tutta,anche se non è facile,crediamoci sempre.Gabriella Savona da Roma

  5. Per alcuni anni ho insegnato e non posso che “sentire” ciò che “sente” il Prof. Magliulo. Se i docenti tutti sapessero della ricchezza che hanno tra le mani, non sciuperebbero neanche un attimo del loro tempo “scolastico”.Come fiumi in piena dovrebbero indirizzare queste giovani forze verso terre produttive e feconde che diano semi e fiori e frutti.Purtroppo pochi insegnanti hanno la consapevolezza di questa grande opportunità e allora la piena passa e scivola via senza fecondare un bel niente.

  6. grazie agli amici e alle persone e colleghe che non conosco che hanno commentato la mia lettera…quanto meno serve a sentirci meno soli e a verificare che esistono persone che non hanno abdicato alla cura per il sentire e la singolarità dei ragazzi…”l’attenzione è la forma più rara e più pura della generosità” (S. Weil)
    Nicola Magliulo

  7. caro nicola….tu giri tra i licei….e osservi che la scuola in quanto sapere codificato e formalizzato è come una cristalleria si rompe al primo urto e dentro a questa cristelleria i ragazzi si muovono tra i cocci
    ebbene se girassi tra gli istituti tecnici ti accorgeresti che la i ragazzi e le ragazze oltre a non avere ascolto circa la forza vitale dei loro sogni e visioni mancano anche …delle “parole per dirlo…..”e questo è quasi irrimediabile

  8. nicola magliulo | 19 novembre 2009 su 12:38 | Rispondi

    cara sonia conidivido quello che dici e l’immagine bella e triste dei ragazzi tra i cocci…la situazione dei tecnici per non parlare dei professionali è ancora più grave come opportunamente ci ricordi..una volta sono entrato in una classe di un professionale per una supplenza e sono stato assalito da comportamenti a dir poco indisciplinati e aggressivi…ho capito che volevano sfidarmi e vedere se li disprezzavo come certi colleghi fanno…con pazienza parlando del napoli calcio e cosa volevano fare da grandi sono riuscito ad avere la loro fiducia…non lo racconto a te, che farai questo tutto i giorni, ma a chi legge…in questa Italietta sempre più egoista e feroce, come dici la situazione è quasi irrimediabile e ne è un segno il fatto paradossale che sia il mio testo che i commenti sono stati inviati da insegnanti che discutono on line di ciò perché rassegnati all’immodificabilità dei riti scolastici sempre più preocuppati solo di tenere le carte a posto che non della sostanza…

  9. Alfonso Marotta | 30 novembre 2009 su 23:12 | Rispondi

    Salve Prof. scrivo in ritardo purtroppo perchè i miei impegni sono tanti. Ho letto questo articolo alquanto suggestivo, l’ho letto due volte perchè alla prima ero troppo preso a dare ragione a queste parole. La seconda volta ho ragionato su tutto questo che accade a scuola e fuori. Avete visto quanti ragazzi c’erano alla fila per il provino del Grande Fratello? .. Era interminabile quella fila… Sarà perchè il mondo qui fuori fa paura, non ci sono più certezze, sarà perchè tutto non è facile come si crede, sara perchè si vive da inesperti, sarà che i giovani si stanno perdendo. Tanta indecenza non si era mai vista. Ora sto andando all’università, lavoro quasi sempre.. come primo anno fuori da un liceo penso a quanto quel mondo mi abbia fatto soffrire ma allo stesso tempo crescere, ma non perchè la scuola mi abbia maturato, ma sono maturato a sopravvivere in quell’ambiente agnostico in cui vive la scuola stessa. Professori, personale ATA e tutti i componenti si trovano in difficoltà incredibili a lavorare e spesso sono scontenti. Questo causa di riflesso un atteggiamento maldisposto verso gli altri. Io dico è vero che i ragazzi devono subire disciplina, ma la disciplina dove le prende le proprie basi? su che strumento si fonda la disciplina? .. i ragazzi sono terrorizzati e i sistemi arcaici della scuola moderna non giovano a nessuno. Concludo dandole ragione, i ragazzi devono seguire i loro sogni e per far questo hanno bisogno di più di qualche professoressa megalomane o qualche compito. Lo studio è uno strumento, quello che conta è la conoscenza. Oggi invece si pensa che importa sapere quello che conta il di più è out.. Scrivo con dolore perchè so di avere ragione. Spero che le cose cambino e in fretta.. L’italia siamo noi e noi non ci siamo..

  10. nicola magliulo | 2 dicembre 2009 su 14:43 | Rispondi

    grazie alfonso del tuo intervento che dovrebbe farci ulteriormente pensare e che fotografa la situazione di crisi, incertezza e di mancanza di punti di riferimento in cui si trovano molti ragazzi…ieri dopo aver spiegato che il divertimento può legarsi anche alla violenza e crudeltà, un ragazzo ha commentato: per una scarica di adrenalina si fa del male….ho pensato: davvero fronteggiamo queste situazioni? ripetiamo ai genitori e tra colleghi il solito ritornello sullo scarso studio, ma ancora una volta non siamo consapevoli e capaci di reagire al livello più profondo del ‘sentire’

  11. Caro Nicola, da quello che scrivi mi è chiaro che nel tuo lavoro metti una bella dose d’amore e non solo tanta competenza e professionalità. Io sono certo che in tutte quelle azioni che ci pongono a contatto con altre esistenze (il “prossimo” dei bravi predicatori) dovremmo mettere questa tensione a realizzare il bene di chi ci sta dinanzi, ma so anche con la stessa certezza che il problema maggiore è che spesso cominciamo a non intenderci già nel momento stesso in cui utilizziamo parole come “bene” e “amore”. Bunuel, in un questionario surrealista sul tema, alla domanda “Che cos’è l’amore?” rispose che l’amore è tutto se esiste e nulla se non c’è. Ed è così, inutile riempirsi la bocca di parole alate. Quando mi irrigidisco sulle ragioni, istituzionali e non, del mio ruolo, trovo mille buoni motivi per non ascoltare un ragazzo/una ragazza che cerca – magari disperatamente – di creare un ponte su cui potersi avvicinare a me. A volte non ascolto per distrazione, a volte non ascolto per pigrizia, a volte non ascolto per presunzione. Non ho ancora capito se sono un buon insegnante o se mai lo diventerò. So che negli anni ho imparato ad essere meno sordo e più partecipe alle sorti dei miei alunni. Ma non mi faccio illusioni: so che quello che a me può sembrare un disguido da nulla per un ragazzo può diventare una tragedia e tremo alla sola idea che le tragedie si consumino sotto i miei occhi senza che io neppure me ne accorga. Un abbraccio e Buon Natale a tutti

  12. nicola magliulo | 22 dicembre 2009 su 12:54 | Rispondi

    caro mario, grazie per quello che scrivi perché esprimi proprio uno dei punti cruciali che avverto anche io: la relazione e la tensione tra il ruolo, la trasmissione dei saperi e la formazione umana dei ragazzi che parte dalla capacità di mettersi in ascolto e in discussione…non è un caso allora che abbiamo simpatizzato da subito: evidentemente ci lega un modo di insegnare che non si accontenta di depositare nelle menti dei ragazzi una quantità più o meno sofisticata di conoscenze, ma sentiamo il bisogno di aiutare, attraverso la cultura, il meglio delle loro persone a venire fuori…sarà che in modo magari eterodosso e diverso tra noi, nel mio caso senza avere fede in alcun aldilà, non possiamo che dirci cristiani nel significato più bello e conreto, quindi evangelico del termine…da quando insegno non mi è parso assurdo ed eccessivo neanche quel passo in cui Gesù dice di non chiamare cretino il proprio fratello…l’amaro in bocca che lascia ogni pur fondato giudizio o parola offensivi verso un ragazzo me lo ha fatto capire…

  13. Antonio Costigliola | 10 gennaio 2010 su 14:56 | Rispondi

    Che bello leggere questa lettera. Molte volte ci si interroga sulla funzione della scuola nella società contemporanea.Anche io insegno e mi accorgo che la scuoloa è molto spesso sterile trasmissione di contenuti. Poco si ascoltano gli alunni, che sono persone, che dovrebbero essere al centro del processo educativo. E se gli alunni non vengono ascoltati non imparano neammeno ad ascoltare se stessi. Mi piace il prof. Magliulo quando parla di “educare al sentire”. Fare questo significa mettere l’alunno a contatto con se stesso, a saper leggere se stesso e a sapersi orientare nella vita così complessa. Questo ce lo ricorda bene Socrate.
    Caro prof. Magliulo, è bello leggere la sua lettera ma è molto triste sapere che molto spesso nella scuola gli insegnanti non ascoltano lo studente e di conseguenza non lo aiutano ad ascoltarsi. Ma la scuola non deve promuovere la formazione integrale della persona, che è lo studente?
    Ma come lo fa? Trasmettendo sterili contenuti senza sostenere lo studente nell’insegnarli a masticarli bene e a farli propri? Anche il cibo è elemento estraneo a noi stessi, ma noi lo mastichiamo, lo elaboriamo dentro e diventa, trasformato,quello che noi siamo. E perchè non si fa così anche con i contenuti culturali? Il mio professore di filosofia, don Luigi Saccone, ci spezzava il pane della cultura filosofica. Così potevamo masticarlo bene, elaborarlo dentro di noi, per crescere noi. E non solo per sapere a memoria le opere di Aristotele. Quello che non viene masticato viene eliminato per intero. Dimenticato. Come accade con i nostri studenti.
    Caro prof. Magliulo, lei fa bene a scrivere quello che ha scritto e ha dato anche a me il sostegno per continuare a scriverlo.
    Oggi desidero maggiormente ascoltare i miei studenti e “mangiare insieme a loro” la cultura, in quel convivio che dovrebbe essere la scuola.
    Noi ci crediamo. Altrimenti che senso avrebbe il nostro lavoro di insegnanti!!!
    Sinceri saluti
    Antonio

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