La storia di Shaolin è
storia antica, risale a più di 1500 anni fa, al 492 d.C., quando
l’imperatore Hsiaowen chiamò in Cina il monaco indiano Batau perché
traducesse i sutra indiani in cinese. Allora e per lui, nella magia
d’una verde foresta nel cuore dei monti Songshan, l’imperatore fece
costruire un tempio che venne chiamato Shaolin, montagna boscosa.
Un
tempio che ha contrassegnato il pensiero del Buddhismo Zen come
l’antica Atene ha contrassegnato la nostra filosofia. Dopo poco più
d’un secolo, un altro monaco indiano, Bodhidharma, per i cinesi Tamo,
visse per circa dieci anni in una caverna nei pressi di Shaolin, in
immobile contemplazione d’una parete, dopo di che, ispirato, diede
ulteriori sfaccettature allo Zen, tra esse alcuni esercizi di
concentrazione che rinvigorendo lo spirito rafforzavano il corpo:
nacque il Kung Fu.
Così ieri sera, tra momenti di azione guerriera, di preghiera, di
silenzio, di immobilità, vi sono stati momenti di narrazione che si è
aperta allo spettatore per bocca d’un maestro e di un giovanissimo
discepolo dall’età di circa cinque o sei anni. La finzione scenica è
passata in secondo piano, comunque e malgrado tutto, sapienza si
trasferiva dall’uno all’altro, dal palcoscenico alla platea, al
loggione stranamente silenzioso, attento, così fino alla fine, al
chiudersi del sipario su quella sacralità senza tempo né frontiere.
Venerdì 21 ottobre alle
ore 19, presso Il Centro d'arte Riflessi "Tsunami" - architettura di
un'onda anomala - di Peppe Pappa la mostra sarà visibile fino
all'11novembre 2005.
Peppe Pappa
presenta una installazione che invade lo spazio della galleria, quasi
a volerlo sommergere.
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La struttura,
progettata e realizzata da Pappa, nella sua "invadenza" è una sorta di
riflessione sulla natura madre e matrigna, metafora di una condizione
umana e sociale che oramai non distingue vittime e carnefici, vincitori e
vinti, poveri e ricchi, sfruttati e sfruttatori, ma coinvolge tutti allo
stesso modo in una dimensione esistenziale che sembra sfuggire ad ogni
riferimento ideologico, sociale e politico capace di riscattare (anche
nell'utopia) tale condizione.
Presso
il Teatro del Convitto Nazionale “Vittorio Emanuele II”, l’Associazione
Culturale “Viv’arte” ha presentato sabato 1 ottobre 2005 “Strange Tales”,
il primo di una serie di appuntamenti sul tema della letteratura
fantastica.
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Archivio: Francesco
Silvestri in "Stanza 101" di Carlo Cerciello produzione vesuvioteatro |
“Strange
Tales” (implicito omaggio ai vecchi “pulp” degli anni ’30) è un
iniziativa curata da Fabio Lastrucci e Ramiro Dell’Erba, organizzata e
coordinata da Nadia De Pascale, con l’obiettivo di avvicinare nuovi
lettori al fantastico e stimolare gli appassionati attraverso un mezzo
“povero”, ma più spettacolare di qualunque effetto speciale: la
parola.
In un epoca caratterizzata da grande ridondanza di immagini, si è
cercato di ritrovare una dimensione di meraviglia e sospensione
attraverso l’uso della voce narrante. Una suggestione “radiofonica”
che si è ben prestata a presentare storie in cui i generi sconfinano
l’uno nell’altro attraversando i versanti della fantascienza,
dell’horror e del Fantasy.
Grazie al prezioso apporto di bravissimi attori come Francesco
Silvestri, Sasà Trapanese e Liliana Palermo, sono stati letti racconti
di scrittori emergenti, premiati in importanti concorsi del settore e
pubblicati su riviste e antologie a diffusione nazionale.
Sasà Trapanese ha aperto l’incontro con “Il bambino e la morte”, un
testo di Mauro D’Avino, già vincitore di diversi premi e curatore
della rubrica “Cult Stories” per la Xenia edizioni. L’atmosfera di
mistero del racconto, una ghost-story in cui l’elemento giallo è
determinante allo sviluppo della vicenda, è stata restituita con una
lettura attenta e misurata, che ha avuto il difficile compito di
agganciare gli spettatori immettendoli in una dimensione metropolitana
da incubo lucido. continua...
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