Villa Elvira, Artema,e le prove estreme (martìri) di ieri, oggi, domani

Peppe Del Rossi
Nei giorni scorsi è stata inaugurata e benedetta dal Vescovo Pascarella, a Pozzuoli, nel Parco archeologico di via Campana, nei pressi di S. Vito, Villa Elvira: l’ennesimo luogo per feste, e qualche convegno, che sorge nei Campi flegrei inglobando reperti archeologici romani (la più pertinente sistemazione di reperti all’interno di una struttura con finalità non museali mi pare quella della biblioteca comunale di Pozzuoli).

I reperti di Villa Elvira rappresentano tra le più antiche testimonianze cristiane che si siano mai trovate nella nostra zona. Tra essi figurano simboli cristiani come: il buon pastore che richiama la parabola evangelica, il melograno che nel cristianesimo originario simboleggiava la resurrezione (e i fiori del melograno i martiri); il kantharos presente prima nel culto dionisiaco e poi in quello cristiano, il delfino che simboleggiava Gesù (della presenza più in generale dei delfini nei Campi flegrei se ne era occupato Francesco Pisano nel suo: Hic sunt delphini). Dalle parti di Villa Elvira, si è ricordato anche nell’inaugurazione, fu forse ucciso Artema, uno dei martiri cristiani di cui abbiamo una qualche documentazione storica a differenza di altri (Onesimo, Alfio etc.) avvolti in infondate leggende. Caso atipico quello di Artema, differente anche dal gruppo di Gennaro e i suoi compagni: lapidato sembra dai suoi studenti su invito dell’autorità romana cui l’avevano denunciato perché non insegnava loro il culto per gli dei ma quello per il Figlio. Lo si vede, giovane, messo in mezzo dai suoi assassini nel quadro del Lanfranco, che era nel Duomo di Pozzuoli, e che ne raffigura il martirio con una scena simile alla cattura e al tormento di prede umane in ogni tempo e luogo. Chissà cosa avrebbero pensato i cristiani che, nei pressi dell’attuale Villa Elvira, vivevano o dormivano in attesa del risveglio eterno, di vedere i loro luoghi fare da cornice e sottoscala a futuri banchetti. Ma ciò che più ci importa è la critica ad un modo antiquario di approcciare la nostra storia antica e i suoi reperti: ci si compiace retoricamente, e in modo ‘provinciale’, dell’importanza dei siti trascurando di indagare i significati, di approfondire quanto ancora ci interroga. Ad esempio, il ritorno prepotente nel nostro tempo di una questione tra le più spinose e rimosse, come il martirio: niente ci sembra più lontano del dare la vita per qualcosa in cui profondamente si crede, e Artema, i martiri cristiani, ora anche quelli politici, sono avvolti in un’aura agiografica che li mette a distanza di sicurezza da ogni possibile, inquietante, confronto e monito: anzi si giunge fino a quel penoso e ridicolo atteggiarsi che, portandosi la mano al cuore, canta: siam pronti alla morte, l’Italia chiamò…
So bene che il martirio non testimonia di per sé la bontà delle intenzioni della persona che si sacrifica, e che c’è stata l’orribile versione dei martiri islamici che hanno trascinato altre vite innocenti nel sacrificio della propria. Oggi, però, a pochi passi da casa insurrezioni e rivoluzioni popolari sono d’un colpo tornate di attualità e tanti giovani rischiano o perdono la vita per un fiero irriducibile sussulto di dignità e libertà oltre che per un rifiuto della miseria e dell’ assenza di futuro. Un po’ più lontano, in Pakistan, il giovane ministro cattolico Shabhaz Bhatti è stato assassinato da un commando armato; la stessa sorte era toccata a chi si era opposto alla legge contro la blasfemia, e in tanti paesi tornano martiri cristiani. Altro che fine della storia! Che si tratti di conflitti religiosi o politici, essa mostra il suo volto più tragico, il suo eterno mattatoio. Chissà se gli avvenimenti del Nord Africa, o del Pakistan, e di tanti altri paesi ancora, rendono meno retorico il ricordo dei martiri di ieri; se sollecitano ancora, i nostri cristiani o uomini affezionati alla libertà, a interrogarsi seriamente sulla possibilità di dover affrontare la prova estrema per difendere i loro principi, e su come si comporterebbero in tal caso. Nel nostro paese abbiamo ancora, sebbene sempre più erosi, margini relativi di benessere e libertà e questo ci esenta, per ora e speriamo il più a lungo possibile, dal dover rischiare la pelle per difendere l’essenziale. Tuttavia anche da noi il problema si era presentato, ad esempio con Falcone e Borsellino, ora con Saviano: quando mi capita di parlare di lui agli studenti, vedo alcune facce sospettose: ma come avrà saputo queste cose, è uno dei commenti con cui rimuovono la difficoltà ad ammettere che si possa rischiare la vita per affermare ciò che più importa, o l’invidia per chi incarna una coerenza e non si fa servo e complice come tanti. E’ umano aver paura, per sé e i propri cari, e si sa che la storia può sconvolgerci la vita come un sisma da cui è illusorio credersi al riparo; ed è giusto vergognarsi sapendo che inclineremmo a fare come Pietro e gli altri discepoli che come è noto si dileguarono nel momento più tragico. Ma intanto un faccia a faccia con la tragedia, tra una farsa e l’altra, può rappresentare la misura su cui specchiarci: può servire da freno ad ipocrisie dilaganti, a discorsi svincolati da ogni pur minima coerenza con il proprio essere e agire; e a comprendere l’importanza della politica intesa come modo per affrontare problemi e conflitti e prevenire il precipitare della convivenza civile nell’odio e nella guerra.

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