Soltanto per indicare queste anticaglie colla denominazione sotto cui sono comunemente conosciute, avanzi le chiamammo del tempio di Diana; ma in realtà di tempio esse altro non hanno che il nome. Fanno pietà, se pur talvolta non muovono a riso, le cagioni dalle quali indotto il volgo degli antiquarii a tale opinione piegò; e basti accennare che il Capaccio, da’ molli versi di Properzio alla sua Cintia, cui proibiva la villeggiatura di Baja, alle caste fanciulle inimica, trasse argomento del tempio quivi stesso alla dea Cintia sacro. Pertanto qualunque dubbiezza è rimossa dopochè la pianta levata del cav. Heller, spargendo su queste macerie la luce dell’evidenza, manifestamente le mostra rimasugli di terme. (1)
Chi volesse appiccar loro un qualche nome, se non vero, almeno al vero approssimante, potrebbe chiamarle Terme di Pisone: chè in queste vicinanze al certo distendevasi la villa famosa di Lucio Pisone, ove, siccome tutti han letto nel decimoquinto degli Annali, familiarmente usava Nerone, e doveva cadervi svenato, se il patrizio non avesse voluto agli Dei ospitali quel rispetto serbare che poi espiò col suo sangue. Delle quali Pisoniane Terme ora non resta, fra molte informi reliquie, che l’emisfero maestoso da noi rappresentato; ed è la metà della volta che interamente copriva una sala del diametro di 112 palmi, nell’esterior parte ottagona, nell’interna rotonda.
Veggonsi all’intorno di essa quattro nicchioni, sette grandi finestre, e qualche monco piedistilo. In parte l’opera è laterizia, in parte reticolata.
Ben s’apponeva il nostro D’Ancora allorché questo rudere giudicò piscina termale. La pianta mentovata, e la scoverta delle Terme Pompejane meravigliosamente concorsero a confermare cotal suo giudizio, o vogliam dire felice divinazione. Imperciocchè sì in questa come nelle fabbriche vicine, in gran parte da moderno intonaco mascherate, poté il sig. Heller, scavandovi cinque anni fa, discoprir le tracce dell’acquidotto, del calidario, del crittoportico (che nei tempi seguenti servì di piscina), dell’ambulacro, e del magnifico ingresso alla rotonda già da sei colonne decorato. Manifesto quindi si fece quelle quattro nicchie semicircolari di essa rotonda altro non esser che le scole, ove chi non prendeva il bagno sedeva, o per conversare o per attendere che si facesse luogo di entrare nel labro ossia vasca isolata ch’era nel mezzo. Il perchè possiam riconoscere nella sala di cui ci occupiamo il frigidario delle Terme di Pisone; chè, tranne la grandezza, rassomiglia appunto al frigidario che in quelle di Pompei, più piccolo, ma conservato troppo più, si osserva.
E’ noto che solevano i Romani nelle lor terme il bagno freddo prendere in comune, e in due maniere: o nel battisterio ad aria aperta, come nella casa di Diomede a Pompei lo vediamo; ovvero al coverto nel rinfrescatoio che dicean frigidarium: e questo aveva nel centro ampio bacino ove pur si potesse nuotare, con gradini all’intorno per sedervi, ed avea pure praticate nella spessezza delle pareti quella specie di picciole essedre che Vitruvio chiama scholae, come appunto nelle celle frigidarie si trovano di Pompei e di Baja, entrambe di figura circolare, il che non era peraltro rigorosamente prescritto. E frigidarii son pure gli avanzi de cosi detti templi di Venere e di Mercurio che sulla stessa linea di questo preteso di Diana, e poco da esso discosti si scorgono. Nè di tale abbondanza di terme in Baja malagevole cosa è render ragione.
Due passioni principalmente distinsero i costumi pubblici de Romani al finire della repubblica: l’amor delle ville e de bagni.
Per vanità, per voluttà traevano alla campagna, ove si fabbricavan case marmoree, emule, dice Strabone, a’ palagi de’ Re di Persia; nè ad una sola contenti, ovunque straordinaria bellezza alcun sito d’Italia impreziosiva, godeano di possedervi campestri dimore. Quindi è che del solo Cicerone sino a 19 annoveravane il Midleton, ed il Chaupy 21, dalle pagine eterne di lui cavandone le notizie ed i nomi. Nè minore era il lusso dei bagni tepidi, presso i Romani di quella età divenuti general moda e bisogno, talchè nella lor capitale 800 bagni pubblici contava Publio Vittore, ed Agrippa egli solo 170 avevane aperti.
Nelle romane terme in fatti, nelle quali regnava la più grande magnificenza e pubblica e privata, ravvisiamo ancor oggi i più sontuosi edificii di Roma; edificii ove parve soltanto superare la Grecia, e che tante opere di architettura comprendevano, e per tanti diversi esercizii del corpo e della mente, che secondo l’espressione di Ammiano Marcellino, vaste provincie pareggiavano. Or a poter eglino secondare l’una e l’altra passione, qual luogo più acconcio di Baja? Cielo purissimo e del color del zaffiro; aere dolce, asciutto e da quello che forse era, e che poi divenne, diverso; prospetti svariati e sempre deliziosi; suolo veramente pittoresco, il quale ora s’erge in colline, or in laghi s’avvalla, e la cui orientale riviera dolcemente s’incurva ad abbracciare uno de’ più vaghi golfi Tirreni; fecondato poi nel più mirabil modo da fuochi vulcanici che dentro le sue viscere serpeggiano, come quello ch’è parte de’ Campi Flegrei noti alla favola ed alla istoria. E per effetto di questa sua sotterranea struttura, ricchissimo è pure d’acque minerali e termali che somministravano bagni d’ogni maniera, non da’ raffinamenti dell’arte, ma dalla natura stessa apprestati.
Se le case di campagna de Romani dovevano altrove scarseggiare di questa che tra le care morbidezze cittadinesche avevan essi carissima, qui ne trovavano abbondanza, varietà, spontaneità portentose, per cui ebbero a dare a Baja il predicato di liquida; qui bagni di mare facilissimi, ed incontriamo in fatti ad ogni passo lungo la riva bajana i residui delle stanze per tal uso costrutte; qui tepidarii, calidarii, sudatorii per cosi dire belli e formati senza mestier d’ipocausti; qui lavacri non solo al culto del corpo ma eziandio alla salubrità confacentissimi. Laonde qua concorrevano a furia i togati; e poichè troppo era angusto il terreno a tante ville, quando scavarono i fianchi de’ monti, e quando il mare stesso invadendo lo costrinsero a indietreggiare. In somma in tal grazia tennero questi luoghi, che Baja divenne una picciola Roma, e come sue terme suburbane le Terme di Baia. La quale unendosi dal destro lato per Bauli a Miseno, e dal sinistro a Pozzuoli, si formò quasi una città sola ed immensa, tutta lusso, tutta voluttà, tutta campestri delizie. Baja grandeggiava nel mezzo; e generale in encomiarla è il consenso degli scrittori, presso i quali or beata, or felice, or con altri preclari epiteti viene appellata. Orazio non sapeva nel mondo intero additar sito che splendesse di questo più ameno. Marziale che disperava di poterlo nemmeno con mille versi degnamente lodare, cosi periglioso al pudore il credeva per le molte sue attrattive, che le Penelopi stesse, ci giurava, ne sarebbero Elene partite. Nè diversamente sentivano il citato Properzio e Seneca morale; e sino il Goto Atanarico, siccome leggiamo in Cassiodoro, non dubito di asserire che questo era l’angolo della terra ove solo fosse all’uom dato viver vita divina.
(1) Questo ingegnere militare Austriaco, socio corrispondente del Accademia Ercolanese, compì nel 1824 parecchi di tali lavori nell’agro cubano e puteolano, per commissione di S.A.I. l’Arciduca Palatino. Siffatte piante rimangono ancora inedite. Quella di cui qui è parola, l’inviò egli non ha guari da Vienna al sig. can. Jorio, dalla cui cortesia la teniamo.
INDICAZIONE DELLE FONTI
Trascrizione di Biagio Sol dal Viaggio pittorico nel regno delle due Sicilia [Napoli e le province] [1] / pubblicato dai…Cuciniello e Bianchi.
Napoli: presso gli editori, [1830-1833] : 1.
Napoli: presso gli editori. [1830]. ETH-Bibliothek Zurich. , Rar 9755: 1 https://doi.org/10.3931/e-rara-51870 / Public Domain Mark
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