Il sistema delle memorie

AGGIORNAMENTI DI NEUROSCIENZE
L’attività mnemonica ed i suoi processi sono da oltre un secolo e mezzo al centro di indagini, sia per l’individuazione di terapie che, più semplicemente, per comprenderne il funzionamento. Secondo una recente ricerca dell’Università di Dresda, circa il 38% degli europei soffrirebbe di disturbi mentali e neurologici (l’ansia è al primo posto tra questi), ma solo una parte di essi viene rilevata e risulta curata essendo alcuni di limitata intensità e scarsa evidenza (ma non per questo da trascurare). Se anche si considerano questi dati eccessivi, è comunque evidente a molti che sembrano diffondersi anomalie e disturbi comportamentali di vari intensità. L’urgenza di risposte più ampie da parte delle neuroscienze è quindi molto avvertita e tra i punti centrali nello studio del funzionamento cerebrale è proprio la memoria o, come forse oggi risulta più corretto dire, le memorie: infatti sappiamo che la memoria è un insieme di sistemi diversi fra loro e coinvolti in modificazioni secondo tempi differenti.

Come spesso accade, partendo dallo studio di problemi e situazioni di danno o alterazione si traggono utili indicazioni anche sul normale funzionamento dei processi funzionali ad essi collegati, così è accaduto per i traumi e per la loro memorizzazione. Se era già noto che l’apprendimento associativo è condizionato dalla struttura biologica di ciascun organismo, oggi è dimostrato che lo stesso stimolo è trattato in modi diversi dalla stessa persona a seconda dello stato soggettivo, emozionale, che è attivo in quel momento e che influenza la formazione del ricordo. Lo stimolo ricevuto in un determinato stato o situazione si ricorda meglio quando si ripresenta questo stesso stato, c’è congruità quindi della memoria con l’umore, per cui ricordi spiacevoli sono più frequenti in stati tristi e depressi e, al contrario, ricordi piacevoli in stati di gioia e benessere. Lo stato emotivo costituisce di solito anche la ragione per cui un ricordo dimenticato può riaffiorare ed essere recuperato. Percezioni visive od uditive sono occasioni per far emergere ricordi sepolti, per segnalare sprazzi di esperienze passate. Tali memorie dipendono da condizioni particolari, vengono cioè rivissute in situazioni che ripropongono stimolazioni affettive simili. Una sorta di “innesco”, attraverso il percorso cerebrale non conscio (probabilmente le connessioni dell’amigdala), che attiva la reazione emotiva e quindi le risposte psicosomatiche fisiche associate alla paura ed alla difesa. Tutto ciò conferma che la memoria è un insieme di sistemi diversi fra loro e scaglionati in tempi differenti, con modalità distinte di memorizzazione, nelle quali hanno un ruolo importante le emozioni. La conservazione delle tracce mnemoniche è tanto maggiore quanto più forte è la motivazione della persona ad acquisirle, ovvero se la persona è coinvolta emotivamente verso di esse. Ma lo stimolo più potente per far riaffiorare un ricordo traumatico è spesso uno spunto percettivo.
Numerose ricerche hanno mostrato che in condizioni normali molte persone traumatizzate hanno un adattamento psicosociale abbastanza buono. Tuttavia esse hanno reazioni inappropriate in situazioni di stress, in cui possono sentire o agire come se subissero di nuovo il trauma. Tali stati di alto arousal, cioè di forte attivazione, sembrano facilitare il recupero di ricordi traumatici, di dati sensoriali o comportamenti associati all’esperienza traumatica originaria. Ciò che la neurobiologia ha oramai dimostrato è che la memoria umana non è un deposito da cui prelevare pezzi, un magazzino statico di dati, quale la memoria fissa di un computer; al contrario è un processo dinamico, è una memoria categoriale e ritrascrittiva, come sempre più sostenuto negli ultimi decenni e già intuito, più di un secolo fa, da Freud. La visione attuale della memoria umana come processo attivo, complesso e flessibile, in una “plasticità neuronale”, è quindi ben diversa dalla concezione rigida della mente umana come passivo ricettore di stimoli, propria di un secolo fa.
Il modello cognitivista, affermatosi tra gli anni ’50 e ’60, ha distinto tra memoria a breve termine (MBT) e memoria a lungo termine (MLT), diverse per capacità, durata di ritenzione e organizzazione. In seguito, negli anni ’70, è stata descritta la suddivisione della MLT in memoria semantica e memoria episodica. La prima è un sistema di conoscenza composto di schemi, modelli, proposizioni e informazioni sul mondo. La seconda invece è composta di fatti ed esperienze di vita. Una rilevanza particolare ha la memoria autobiografica che registra la storia degli avvenimenti personali. È quindi uno dei sistemi della memoria e della mente più importanti per il suo ruolo nella costruzione del Sé. Le informazioni che compongono questa memoria sono organizzate gerarchicamente e recuperate attraverso tre fasi in cui, dopo una domanda di avvio, sono valutate nella loro bontà, in riferimento a plausibilità e probabilità, per produrre poi una descrizione organica dell’accaduto. I processi esecutivi attivati in queste fasi sono ricondotti dalla ricerca recente ai lobi frontali il cui danno porta difficoltà nel recupero della memoria autobiografica. La memoria semantica inizia a svilupparsi durante il secondo anno di vita, mentre quella episodica e autobiografica non si sviluppa prima dei tre anni.
Negli ultimi decenni, particolare attenzione è stata dedicata alla distinzione tra memoria dichiarativa e procedurale, o secondo una diversa terminologia, tra memoria esplicita ed implicita. Mentre i ricordi dichiarativi, espliciti, sono coscienti, o potenzialmente a disposizione della coscienza, quindi possono essere riportati alla mente, descritti a parole, i ricordi procedurali, impliciti, non sono coscienti né controllabili. La memoria implicita, non verbale, è mediata da molti sistemi tra cui quello della paura che comprende amigdala e aree collegate, la cui attività risulta nell’espressione di risposte emotive di difesa, è più precoce e tende a lasciare un’impronta indelebile. La memoria esplicita, dichiarativa, di tipo verbale, mediata dal solo lobo temporale, opera attraverso circuiti sensoriali che conducono all’ippocampo e poi alla corteccia e si forma verso i tre anni. Sono scarsi i ricordi dichiarativi, narrativi prima di quest’età. E’ interessante notare che i dati provenienti dalle ricerche delle neuroscienze tenderebbero a confermare quindi l’amnesia infantile di cui parlò Freud. Vari autori hanno infatti attribuito l’amnesia infantile alla lunghezza del periodo di maturazione dell’ippocampo: non ci sarebbero ricordi espliciti della prima infanzia perché il sistema che li forma non sarebbe ancora a punto. Se quanti studiano la memoria umana condividano l’idea di una distinzione tra memoria dichiarativa e memoria procedurale e quella tra memoria esplicita e memoria implicita si deduce che una parte delle nostre esperienze lascia una traccia e provoca cambiamenti neurali più o meno permanenti, anche se ciò si verifica al di fuori della nostra consapevolezza. Cercando di integrare i diversi approcci allo studio dei fenomeni mentali, l’interesse di molti ricercatori si è focalizzato sui punti di contatto esistenti tra la moderna concezione di memoria implicita (di derivazione cognitiva) e il concetto di inconscio (di chiara origine psicoanalitica): questi concetti sarebbero accomunati dalla capacità specifica di dotare di continuità e di significato la realtà, di influenzare il comportamento guidando e motivando le azioni dell’individuo senza che ciò comporti il ricorso alla consapevolezza/coscienza.
Altre prospettive di estremo interesse risultano, in questo contesto, l’osservazione che le esperienze, soprattutto quelle di natura relazionale, avute in epoche precoci della vita, sono di capitale importanza per lo sviluppo neurale e cognitivo-affettivo della persona: tali esperienze contribuiscono, assieme ai fattori di maturazione ed individuali (inclusi quelli di predisposizione genetica), a determinare quelle che saranno le future attitudini sociali e relazionali della persona, le sue avversioni o propensioni, le capacità empatiche, quindi la sua personalità, nonché la sua predisposizione a sviluppare qualche forma di psicopatologia. Le esperienze individuali svolgono un ruolo importante non solo in quanto informazioni apprese ma anche perché determinano i modi con cui la mente sviluppa la capacità di elaborare le informazioni. Ne deriva la strategicità di esperienze verificatesi negli anni di maggiore modificabilità cerebrale (dai primi mesi sino all’adolescenza) i cui effetti potranno proiettarsi sull’intero arco della vita. Studi sulle capacità di apprendimento del feto hanno investigato la possibilità che i neonati fossero in grado di rispondere a stimoli sensoriali di cui essi avevano fatto esperienza nel periodo prenatale. Da un altro studio è emerso che la capacità di riconoscere la voce della mamma è acquisita prima della nascita, inoltre i neonati preferiscono anche ascoltare la loro lingua madre rispetto ad una lingua straniera. Queste precoci preferenze sono testimonianza del fatto che il piccolo ha ritenuto in qualche modo una traccia mnesica dell’informazione inerente la voce materna e delle caratteristiche acustiche e ritmiche dei suoni linguistici. Le strutture neurali che mediano i meccanismi della memoria implicita sono dunque già presenti alla nascita e nel corso del suo primo anno di vita il bambino é già in grado di registrare (e forse di richiamare) ricordi a livello implicito. Si formula oggi l’ipotesi secondo cui le esperienze sensoriali del feto partecipano alla formazione di una “memoria di base” che permette al bambino di vivere con continuità psichica il passaggio dall’ambiente interno a quello esterno.
Infine, vari neuroscienziati hanno indagato gli effetti a breve e lungo termine che esperienze negative e traumatiche, come separazione precoce dalla madre, maltrattamenti ripetuti, stress, determinano sullo sviluppo del cervello e come questo si rifletta sullo sviluppo globale della persona. Dal punto di vista anatomo-funzionale gli eventi traumatici possono ricoprire un ruolo di grande importanza nel modulare la plasticità del Sistema Nervoso Centrale durante lo sviluppo e di conseguenza favorire l’iper-o l’ipo sviluppo di determinate strutture cerebrali. In termini genetici lo sviluppo del cervello è il prodotto degli effetti che le esperienze esercitano sull’espressione del potenziale genetico. Ciò significa che le nostre esperienze influenzano in maniera diretta le modalità con cui i geni vengono espressi attraverso la sintesi proteica (trascrizione) e possono quindi avere effetti diretti sui processi che portano allo sviluppo dei circuiti neuronali promuovendo la formazione di nuove connessioni sinaptiche, modificando quelle preesistenti o agevolandone l’eliminazione. Una sorta di memoria della struttura le cui tracce non sono facilmente modificabili. A livello cerebrale situazioni di stress sono associate alla secrezione di ormoni corticosteroidi i quali hanno effetti diretti sull’espressione genica. Quando l’individuo è esposto ad una situazione stressante, le ghiandole surrenali immettono nel sangue una serie di ormoni, la cui quantità e tipologia dipendono da quanto l’individuo reputi nocivo quel determinato stimolo-stressor, e da quanto la situazione stressante perduri. Se la condizione di stress perdura vengono aumentati i livelli quotidiani di produzione di cortisolo (un altro ormone) che causa la degenerazione dei dendriti e l’inibizione della crescita dei neuroni nell’ippocampo. Se queste condizioni sfavorevoli vengono mantenute per periodi di tempo più lunghi, la persistenza di elevate concentrazioni di queste sostanze può causare danneggiamento e morte neuronale. Immagini rilevate in alcune ricerche hanno mostrato che bambini gravemente trascurati, maltrattati, o in situazione di grave carenza di stimolazioni, presentano un cervello più piccolo rispetto alla media e con sviluppo anomalo di alcune sue parti, ad esempio una ridotta crescita dell’emisfero sinistro che, secondo alcuni studiosi, può incrementare il rischio futuro di depressione.
In sintesi, non solo si è passati dall’idea di una memoria individuale piuttosto statica ad un articolato sistema di procedure e tipi di memorie, si è pure dimostrata l’importanza degli aspetti emotivi sulla memorizzazione e, non ultimo, che lo stesso sistema delle memorie è parzialmente modificabile, ovvero sviluppa modalità prevalenti, a seconda degli stimoli e delle relazioni ricevuto dalla nascita e lungo l’arco di tempo nel quale il cervello è ancora relativamente plasmabile. Il passaggio dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine non fissa definitivamente le tracce mnemoniche che sono soggette a modificazioni in funzione del tempo e degli eventuali traumi intervenuti, ma il sistema neurale può parzialmente ricostruire alcune rappresentazioni delle tracce mnemoniche originarie utilizzando delle informazioni superstiti. Ciò anche perché, secondo le formulazioni prevalenti degli studiosi, una parte delle tracce mnemoniche è rappresentata in siti distinti raggiunti da processi che operano in parallelo. Alcune di queste sono state scoperte inattese, in altri casi conferme di intuizioni precedenti, comunque, esse stanno determinando delle piccole rivoluzioni conoscitive sul funzionamento della mente umana e c’è motivo di ritenere che ancora molte altre prospettive si apriranno nei prossimi anni.

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