Le false confessioni: il caso di Howard Guidry

di Arianna Ballotta
Le false confessioni sono molto piu’ comuni di quanto si possa pensare. Si e’ solitamente portati a credere che, se uno confessa di aver commesso un crimine, di certo e’ colpevole. Ma non sempre e’ così.

I lettori di questa rivista on-line di certo ricordano il caso di Howard Guidry, di cui si e’ ampiamente parlato nel numero scorso e che brevemente riassumo. Howard Guidry, un ragazzo afro-americano originario della Louisiana, si trova da anni nel braccio della morte del Texas per aver firmato una confessione PUR ESSENDO INNOCENTE. Come e’ potuto accadere? Perche’ mai ha firmato?

Quando Howard fu accusato di omicidio capitale dalla polizia di Houston, aveva appena 18 anni, era giovane, ingenuo e molto spaventato. Era in stato di fermo per una rapina. La polizia, per le forti pressioni dell’opinione pubblica e della Procura Distrettuale, aveva bisogno di un colpevole. Howard, povero, solo, nero e impaurito, era il perfetto capro espiatorio. Non ne sapeva nulla di quell’omicidio e disse agli agenti che voleva parlare con i suoi avvocati. Chiese ripetutamente di poter parlare con loro e anche con sua madre (era un ragazzino!), ma non gli fu permesso. Invece, mentre lo interrogavano con violenza chiamandolo “negro”, gli agenti gli dissero come sarebbe stato giustiziato, dove sarebbe stato infilato l’ago, che avrebbero fatto di tutto per velocizzare il procedimento e farlo ammazzare in fretta e che avevano due testimoni disposti a giurare che aveva assassinato una donna di nome Farah Fratta. I poliziotti gli dissero anche di aver parlato con il suo avvocato e che l’avvocato stesso aveva detto che poteva firmare un accordo per 25 anni di carcere per evitare l’esecuzione, perche’ tanto sarebbe stato giudicato colpevole. Howard pensava di firmare quel foglio, un accordo per evitare di venire assassinato dallo Stato. Non sapeva che, invece, stava apponendo la sua firma sulla sua confessione, nella quale si dichiarava colpevole di omicidio.

Nell’autunno del 2003, un giudice federale disse che Howard doveva essere scarcerato oppure riprocessato, in quanto i poliziotti non avevano rispettato il suo diritto costituzionale di parlare con il suo avvocato. Di prove fisiche della sua colpevolezza non ce ne sono mai state. Ma Howard non e’ mai stato scarcerato, e anzi il Procuratore Distrettuale della Contea di Harris lo ha riprocessato ed incredibilmente e’ riuscito – anche pagando i testimoni! – ad ottenere un’altra condanna a morte.

Del caso di Howard se ne sono occupati in molti, negli USA ed in Europa. Fra gli altri, vale la pena menzionare l’articolo scritto dall’avvocato Kenneth Williams pubblicato sulla prestigiosa rivista specializzata Drake Law Review (una versione italiana la trovate qui: http://www.agliincrocideiventi.it/Coalit/sul_caso_di_howard_guidry.htm ), nonche’ quanto scritto da Stefanie Collins, editore del blog dell’ American Constitution Society for Law and Policy ( http://www.acsblog.org/criminal-law-why-would-an-innocent-person-confess-to-a-crime-they-did-not-commit.html ).

Ma, per tornare alla domanda iniziale, perche’ mai una persona innocente confesserebbe di essere colpevole di un crimine in realta’ mai commesso? Come detto dalla stessa Collins, per la maggior parte delle persone l’idea di una falsa confessione e’ a dir poco bizzarra. Una confessione del genere e’ al contempo controintuitiva ed autodistruttiva e sottintende il fatto che una persona innocente desideri volontariamente di essere punita. Ma nonostante secondo il pensiero convenzionale si sia portati a credere che una persona innocente non ammetterebbe mai volontariamente di essere colpevole di un crimine in realta’ non commesso, studi e ricerche dimostrano che fattori diversi che vanno da problemi di ritardo mentale o di altra patologia mentale, alla coercizione e alla paura di una pena piu’ severa, possono portare un accusato a dichiarare una colpevolezza non vera.

Il caso di Christopher Ochoa, solo per citarne uno, fornisce un esempio lampante. Ochoa rilascio’ una confessione dietro coercizione e lo Stato del Texas lo condanno’ per omicidio. Dopo 12 anni di carcere, grazie al test del DNA, Ochoa fu completamente scagionato. Ma non sempre e’ possibile usufruire del test del DNA!

Il caso di Guidry e’ simile a quello di Ochoa per il modo in cui la confessione e’ stata estorta. Guidry e’ stato tenuto rinchiuso in una stanza per otto ore, continuamente minacciato dagli agenti di polizia e sottoposto a torture fisiche e psicologiche. E’ stato letteralmente sfinito. All’epoca aveva appena 18 anni. Era poco piu’ di un bambino.

In Texas casi simili non sono poi così rari. Sia nel caso di Ochoa che in quello di Guidry, si e’ arrivati ad una “confessione” dietro minaccia di esecuzione capitale da parte degli agenti di polizia. Secondo Saul Kassin (si legga qui: http://www.psychologytoday.com/articles/pto-20030430-000002.html ) ordinario di psicologia presso il Williams College in Massachusetts, la possibilita’ di sfuggire alla morte ed ottenere la “pena piu’ lieve” offerta dagli agenti nel corso di un interrogatorio, potrebbe comprensibilmente indurre un uomo a confessare un crimine. Kassin ritiene che “una falsa confessione e’ una via di fuga. Puo’ diventare razionale in certe circostanze”.

Anche in California sono stati registrati casi simili. Secondo uno studio presentato il 25 luglio 2006 dalla California Commission on the Fair Administration of Justice , una speciale commissione nominata per esaminare il sistema penale californiano guidata dall’ex Procuratore Generale della California, John K. Van de Camp, la “falsa confessione” costituisce la seconda causa principale di condanna errata nello Stato. Lo studio indica anche che le false confessioni molto spesso vengono “estorte a persone molto vulnerabili”, come persone giovani e persone affette da ritardo o malattia mentale, ma specifica altresì che anche persone del tutto competenti e dotate di mente razionale possono essere portate a rilasciare una falsa confessione sotto la pressione di particolari tecniche di interrogatorio.

Non possiamo che augurarci che il numero crescente di persone esonerate per crimini non commessi porti velocemente ad un cambiamento nel modo comune di pensare in merito alle “confessioni” e ad una modifica delle leggi (a mio modo di vedere le cose, ad esempio, TUTTI gli interrogatori dovrebbero essere filmati, dall’inizio alla fine, e i filmati dovrebbero costituire un’eventuale prova da utilizzarsi in tribunale). Nel caso di Ochoa, e’ stato possibile testare le prove fisiche rinvenute sul luogo del crimine che hanno inconfutabilmente dimostrato la sua innocenza. Nel caso di Guidry – e di moltissimi altri! – questo non e’ possibile. E spesso – proprio come nel caso di Guidry – questa falsa confessione e’ l’unica “prova” utilizzata dalla Procura in tribunale per ottenere una condanna a morte.

Per saperne di piu’ e per aiutare Howard Guidry, si legga qui:

http://www.agliincrocideiventi.it/Coalit/howard_guidry.htm

Arianna Ballotta

Presidente

Coalizione Italiana contro la Pena di Morte

www.coalit.org

arianna@linknet.it

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