LE PAURE DELLA CINA E LE IPOCRISIE DEGLI EUROPEI

di Antonio Virgili

Ovvero:Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam di lor, ma guarda e passa (Dante, Inferno)

Soldati a Lhasa
Le polemiche suscitate in Italia dalla recente visita del Dalai Lama, anzi, si potrebbe dire da ogni sua visita, così come quelle straniere rimbalzate anche nei media italiani, invitano a qualche breve riflessione. Tre sembrano gli aspetti da sottolineare: le ingerenze esterne in un Paese sovrano; il persistente timore che il Tibet incute alla Cina; le sempre maggiori ipocrisie di una classe politica europea che vale sempre meno, specialmente quando rinnega i valori fondanti specifici dell’Europa e della sua cultura.

E’ oramai noto ed evidente che la Cina usi accusare gli altri Paesi di ingerenza interna negli affari cinesi ogni qual volta ci si occupa di Tibet e/o di diritti umani. Sempre in nome della non ingerenza la Cina ammonisce politici ed amministratori stranieri a non incontrare il Dalai Lama, o avverte imprenditori ed aziende che ne deriverebbero effetti negativi sulle relazioni commerciali se si parla di diritti. Non volendo ingerenza negli affari cinesi, la Cina “suggerisce” ai giornalisti stranieri ciò che è bene pubblicare, intima al Vaticano come comportarsi in materia religiosa nelle relazioni internazionali, protesta per quanto, in un altro Stato che evidentemente sovrano non è considerato, si dice o si fa in relazione alla Cina. Si giunge così ai paradossi patetici recenti nei quali amministratori locali e politici italiani eseguono direttive cinesi a meno che non ricevano ordini da parte di qualcuno dello Stato “che se ne assuma la responsabilità”. Si dovrebbe dedurre che i comportamenti e le dichiarazioni degli amministratori e dei politici italiani sino affari interni…..cinesi. Naturalmente ciò non viene mai rilevato come ingerenza negli affari interni di un Paese sovrano poiché, forse, solo la Cina, gli USA e pochi altri sono ancora Paesi sovrani. Si tratta solo di “amichevoli e premurosi avvertimenti”, o meglio, consigli, per il bene comune. E’ ingerenza solo quella verso la Cina, o meglio verso le attuali autorità cinesi, che non hanno mai bisogno di dimostrare che rappresentino il popolo cinese. A noi non resterebbe che ringraziare per tanta gentilezza e disponibilità nell’elargire consigli e nel prendersi cura degli affari altrui. Ciò che invece traspare evidente è che se il Tibet non facesse paura a tali dirigenti, essi avrebbero forse da occuparsi di altri temi, visto che, con una popolazione di circa un miliardo e 300 milioni di persone, forse qualche piccolo, marginale problema interno da risolvere c’è anche in Cina. E per certi versi tale paura del gigante cinese verso il piccolo (demograficamente) Tibet è sorprendente e poco spiegabile. O forse la spiegazione è solo che in Cina si sta usando il denaro come droga sociale per garantire stabilità e potere, ma si ha molto timore delle idee e delle parole (gli illuministi sarebbero stati orgogliosi di ciò). Denaro e potere sembrano le uniche due certezze che il “microbo” Tibet potrebbe corrodere, rivelando che essi non garantiscono vita perenne ed inattaccabile a chi li usa. Ma, le autorità cinesi sono forse convinte che basti solo aspettare qualche altro decennio per cancellare definitivamente ogni ricordo e traccia del Tibet, così come sembravano cancellabili gli ebrei, in altro contesto: Arbeit macht frei. (Il lavoro rende liberi) – nota scritta di “amichevole” benvenuto ad Oswiecim – Auschwitz-.
Quanto al gregge di politici ed amministratori (come altro si potrebbero definire coloro che, secondo Dante, sono, se non parassiti, quanto meno esseri inutili?) che esegue ordini esterni giustificandosi in nome di un presunto “interesse pratico superiore” (leggasi denaro) ed ignorando il valore della storia europea e quelli che dovrebbero essere basilari diritti da tutelare, è sufficiente riproporre loro la tragica espressione di Levi, ricordando alla loro grettezza:

La Bandiera del TIBET

O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
(da Primo Levi, Se questo è un uomo)

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