Cosa
dovrei dire: l’occidente con la sua punta di diamante negli Stati
Uniti, costruisce da sè i bersagli da distruggere secondo i propri
interessi? Dovrei dire che Ahmadinejad, come Saddam, ben-Laden, i
talebani, a ritroso Khomeini, la lista è lunga, pur nella follia della
loro esistenza sono frutto d’un piano ben più ampio e prestabilito, un
malefico giuoco di burattinai e burattini?
Come
faccio a dire a questi occhi di quasi bambini, questi occhi coraggiosi
e intimiditi, questi occhi che cercano, come faccio a dire che questa
è una lunga storia che ha persino un nome, il Grande Gioco, che è una
vecchia strategia con cui gli imperi coloniali combattevano servendosi
di altri onde evitare di mostrarsi, come faccio a dire che questa
definizione nacque a proposito della sua terra, di quella dei suoi
amici Afthab, Ismail, Hussein, come faccio a dirlo ad Eskandar il cui
nome si traduce in Alessandro?
No, non si può dire, non a chi è poco più che bambino, a chi ha
vissuto l’invivibile, non si può nell’adolescenza spegnere la
speranza. Dico, vedrai che non accadrà, consapevole della sostanza di
desiderio.
Sono le diciotto, i ragazzi devono avviarsi alle case famiglia, il
nostro pomeriggio è terminato, qualche attimo prima dei saluti
chiedono di poter andare a vedere le antichità della loro terra, sanno
del museo orientale presente in città. Viene subito risposto,
certamente.
Così mentre i vari Afthab, i vari Eskandar, questi adolescenti afghani
a Roma da pochi giorni, chiedono di visitare il museo orgogliosi della
presenza di reperti che loro appartengono, col desiderio di dimostrare
la propria identità attraverso qualcosa di prezioso che riscatta la
loro posizione in questo nostro mondo, altri adolescenti incendiano i
sobboghi di Parigi, comprese le loro stesse scuole.
Hanno detto che sono extracomunitari, che sono islamici, l’età inizia
dai dieci, undici anni, due di loro sono morti per sfuggire alla
polizia, erano di Clichy-sur-Bois, spiegazione ufficiale: tragico
errore, slogan dei ragazzi: siamo i ragazzi di Clichy in preda alla
rabbia e all’odio, giustizia sarà fatta, almeno si parla di noi,
cattivi ma famosi.
Il passaparola: televisione, internet, sms. I genitori tacciono,
cercano di placare, di alleviare, pregano nelle moschee che, sempre
per errore, vengono investite da bombe lacrimogene. Sono loro gli
extracomunitari, quelli giunti da lontano con il bagaglio della loro
storia, che hanno partorito i figli da noi allevati.
Ragazzi, bambini, poco più, gli autori delle sommosse parigine sono
francesi a tutti gli effetti, sono prodotti del decadimento morale
d’occidente, della fine degli ideali, di quel pensiero che sa solo
partorire materia, ravvisabile in ogni colore politico, sono prodotti
delle umiliazioni, del dispregio, della superficialità.
Dietro i cappucci delle felpe tirate sugli occhi si nasconde paura,
dietro la sfida degli sguardi si nasconde infanzia
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irriconosciuta, violata, la stessa che si nasconde nei giovani
suicidi, nei parricidi “bianchi”.
Quella dei
bambini-ragazzi francesi non è azione è reazione, l’ignoranza
d’occidente li ha portati a questo così come ha reso orfani gli Afthab
e gli Eskandar pur se non ha potuto nulla sulla loro forza, sul
coraggio negli occhi, sulla dignità. Procuriamo di non distruggere noi
queste bellezze, noi, ora, qui.
Meglio qui che a Kabul ora, non ne sono certa.
Nuovo
libro: Marika Guerrini, Afghanistan, profilo storico di una cultura,
edizioni jouvence, Roma 2005
dove e quando |
THE WORRYBEADS
di Marya Di
Pietro
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I Worrybeads
vogliono perseguire l’obiettivo di far conoscere alcuni artisti attraverso
particolari momenti della loro vita. Questo è il leitmotiv sia dello
spettacolo che della nostra mostra: il tema è la follia.
Ogni gruppo componente del gruppo può dare libero sfogo alla sua fantasia,
avvicinandosi alla forma espressiva a lui più consona in una pièce a 360
gradi in progressione continua. I worrybeads collegano la follia al più
ampio discorso della diversità, che implica sofferenza ed esclusione ma
non impedisce di vivere con fantasia e genialità e senza sovrastrutture.
Raccontando “brandelli” di vita quotidiana di vite vissute sotto il segno
della genialità e della follia, BRANDELLI si adegua a spazi sempre
differenti a cui aderisce come un guanto.
Narra artisti come la danzatrice Romola De Pulszky, moglie del gran
ballerino Vaslav Niijinsky(per 30anni chiuso in manicomio)esponente dei
celeberrimi balletti russi, o lo schizofrenico Antonine Artaud(al suo
attivo ben 51 elettroshock) a colloquio con la sua infermiera.
Oppure lo scrittore belga Gorge Rodenbach che non riesce a scindere la sua
immagine reale da quella riflessa nello specchio, le cui sofferenze
saranno interrotte solo dalla morte.
continua...
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