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pagina 4

dicembre 2005

Numero 1

Cosa dovrei dire: l’occidente con la sua punta di diamante negli Stati Uniti, costruisce da sè i bersagli da distruggere secondo i propri interessi? Dovrei dire che Ahmadinejad, come Saddam, ben-Laden, i talebani, a ritroso Khomeini, la lista è lunga, pur nella follia della loro esistenza sono frutto d’un piano ben più ampio e prestabilito, un malefico giuoco di burattinai e burattini?

Come faccio a dire a questi occhi di quasi bambini, questi occhi coraggiosi e intimiditi, questi occhi che cercano, come faccio a dire che questa è una lunga storia che ha persino un nome, il Grande Gioco, che è una vecchia strategia con cui gli imperi coloniali combattevano servendosi di altri onde evitare di mostrarsi, come faccio a dire che questa definizione nacque a proposito della sua terra, di quella dei suoi amici Afthab, Ismail, Hussein, come faccio a dirlo ad Eskandar il cui nome si traduce in Alessandro?
No, non si può dire, non a chi è poco più che bambino, a chi ha vissuto l’invivibile, non si può nell’adolescenza spegnere la speranza. Dico, vedrai che non accadrà, consapevole della sostanza di desiderio.
Sono le diciotto, i ragazzi devono avviarsi alle case famiglia, il nostro pomeriggio è terminato, qualche attimo prima dei saluti chiedono di poter andare a vedere le antichità della loro terra, sanno del museo orientale presente in città. Viene subito risposto, certamente.
Così mentre i vari Afthab, i vari Eskandar, questi adolescenti afghani a Roma da pochi giorni, chiedono di visitare il museo orgogliosi della presenza di reperti che loro appartengono, col desiderio di dimostrare la propria identità attraverso qualcosa di prezioso che riscatta la loro posizione in questo nostro mondo, altri adolescenti incendiano i sobboghi di Parigi, comprese le loro stesse scuole. Hanno detto che sono extracomunitari, che sono islamici, l’età inizia dai dieci, undici anni, due di loro sono morti per sfuggire alla polizia, erano di Clichy-sur-Bois, spiegazione ufficiale: tragico errore, slogan dei ragazzi: siamo i ragazzi di Clichy in preda alla rabbia e all’odio, giustizia sarà fatta, almeno si parla di noi, cattivi ma famosi.
Il passaparola: televisione, internet, sms. I genitori tacciono, cercano di placare, di alleviare, pregano nelle moschee che, sempre per errore, vengono investite da bombe lacrimogene. Sono loro gli extracomunitari, quelli giunti da lontano con il bagaglio della loro storia, che hanno partorito i figli da noi allevati. Ragazzi, bambini, poco più, gli autori delle sommosse parigine sono francesi a tutti gli effetti, sono prodotti del decadimento morale d’occidente, della fine degli ideali, di quel pensiero che sa solo partorire materia, ravvisabile in ogni colore politico, sono prodotti delle umiliazioni, del dispregio, della superficialità.
Dietro i cappucci delle felpe tirate sugli occhi si nasconde paura, dietro la sfida degli sguardi si nasconde infanzia

 

irriconosciuta, violata, la stessa che si nasconde nei giovani suicidi, nei parricidi “bianchi”.

Quella dei bambini-ragazzi francesi non è azione è reazione, l’ignoranza d’occidente li ha portati a questo così come ha reso orfani gli Afthab e gli Eskandar pur se non ha potuto nulla sulla loro forza, sul coraggio negli occhi, sulla dignità. Procuriamo di non distruggere noi queste bellezze, noi, ora, qui.
Meglio qui che a Kabul ora, non ne sono certa.

Nuovo libro: Marika Guerrini, Afghanistan, profilo storico di una cultura, edizioni jouvence, Roma 2005


EVENTI

dove e quando

I Worrybeads vogliono perseguire l’obiettivo di far conoscere alcuni artisti attraverso particolari momenti della loro vita. Questo è il leitmotiv sia dello spettacolo che della nostra mostra: il tema è la follia.
Ogni gruppo componente del gruppo può dare libero sfogo alla sua fantasia, avvicinandosi alla forma espressiva a lui più consona in una pièce a 360 gradi in progressione continua. I worrybeads collegano la follia al più ampio discorso della diversità, che implica sofferenza ed esclusione ma non impedisce di vivere con fantasia e genialità e senza sovrastrutture.
Raccontando “brandelli” di vita quotidiana di vite vissute sotto il segno della genialità e della follia, BRANDELLI si adegua a spazi sempre differenti a cui aderisce come un guanto. Narra artisti come la danzatrice Romola De Pulszky, moglie del gran ballerino Vaslav Niijinsky(per 30anni chiuso in manicomio)esponente dei celeberrimi balletti russi, o lo schizofrenico Antonine Artaud(al suo attivo ben 51 elettroshock) a colloquio con la sua infermiera.
Oppure lo scrittore belga Gorge Rodenbach che non riesce a scindere la sua immagine reale da quella riflessa nello specchio, le cui sofferenze saranno interrotte solo dalla morte.

continua...

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