Vento del sud

Giovedì 24 aprile 2008 alle ore 17.00 a Palazzo Serra di Cassano, Via Monte di Dio, 14- Napoli l’ Istituto Campano per la Storia della Resistenza e l’ Istituto Italiano per gli Studi Filosofici presentano: Vento del Sud – Gli antifascisti meridionali nella guerra di Spagna, di Ilaria Poerio e Vania Sapere, pubblicato per conto dell’Istituto “Ugo Arcuri” per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea in provincia di Reggio Calabria.

Intervengono: Guido D’Agostino, Aurora Delmonaco, Maria Antonietta Selvaggio, Francesco Soverina, Francesco Lucrezi.

Presentazione di Ilaria Poerio e Vania Sapere

Con i 311 antifascisti presi in esame – di cui quattro sono donne – questo lavoro costituisce la più ampia ricerca finora pubblicata sugli italiani del Sud, che si schierarono al fianco dei repubblicani spagnoli sul suolo iberico durante la guerra civile del 1936-39.

Il conflitto spagnolo, con il suo carico ideologico, rappresentò per l’antifascismo italiano il banco di prova per saggiare la possibilità di sconfiggere le mire espansionistiche del regime fascista e nel contempo il tentativo di iniziare quella battaglia per la libertà che in Italia sembrava impossibile. Oltre quattromila furono gli italiani, che aderirono al moto di solidarietà che si strinse, come in un abbraccio fraterno, attorno alla gente di Spagna. Non si trattò di uno spostamento di massa ma di certo, per l’epoca storica e per la spontaneità che lo caratterizzarono, resta, a nostro parere, degno di nota, se non esemplare caso di comune lotta per la libertà.

Questo fenomeno è indissolubilmente legato alla metamorfosi subita, agli occhi del mondo, dalla guerra civile spagnola che trascese i suoi confini, suscitando il coinvolgimento emotivo, e non solo, di milioni di uomini e di donne, assumendo in breve tempo la valenza ideale di guerra per la libertà e dunque di guerra di tutti.

Questo lavoro nasce e si fonda su un modo di intendere e fare storia che appare sulla scena della storiografia nel periodo a cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta.

L’idea di una storiografia che rivolge, per la prima volta, il suo sguardo verso chi si è opposto alla “linea vincente” della storia, alle idee e alle istituzioni dominanti, correggendola e opponendo ad essa freni e limiti. Una storiografia che elegge come suo oggetto d’indagine i “senza storia”; che abbandona l’idea di fare la Storia totale, le grandi sintesi, e sceglie di fare la storia di una singola cellula, adattandosi alla dimensione ridotta dei microcosmi e della microstoria.

Una storia che riscopre gli uomini nascosti dietro alle cifre interminabili di statistiche e serie numeriche. Che restituisce agli uomini la loro natura di esseri viventi “che nascono e che muoiono, che si legano con forti sentimenti di amore e di odio, che sono immersi infine in una materialità fisica e biologica che non può essere sottovalutata”, che si trasforma in Storia di tutti gli uomini nel momento stesso in cui non li guarda più soltanto in quanto “protagonisti o vittime di paci e di guerre, soggetti o oggetti della politica e dello Stato, strumenti attivi o passivi della produzione economica di beni (…)”.

Ad alcuni di quei 4000 antifascisti che vennero messi, con il valore delle loro storie, in attesa, con grave danno per la nostra già tormentata memoria storica, dalle dominanti historie bataille ed histoire evenementielle è dedicato questo lavoro. La ricostruzione delle loro biografie è sembrato il modo migliore per restituire loro un posto nella storia, al pari dei “grandi uomini”.
Perché, laddove possibile, fossero loro stessi a raccontarci le loro vite.
Perché siano gli stessi documenti e le lettere a parlare e a lasciare che vengano alla luce i fattori umani, oltre che politici e storici. Perché l’idea che l’antifascismo sia fenomeno esclusivo del Nord risulti quanto meno scalfita. Perché emerga, finalmente, in quelle che furono le sue reali dimensioni, il dissenso dei meridionali al regime e il prezzo che fu pagato da chi, tra questi, ebbe l’ardire di dimostrarlo, urlarlo, scriverlo.

Non è un caso che si scelga di rivolgere l’attenzione alle biografie dei combattenti, lasciando ampio spazio alle lettere che gli stessi inviavano ai loro familiari perché si ritengono la fonte più autentica e più adatta a ricostruire la realtà degli eventi. Anche questa scelta risponde ad un precisa idea di fonti storiche che reputa tali tutte le testimonianze lasciate dagli uomini, che si focalizza sul contenuto che esse recano con sé e non sul genere a cui appartengono. La maggioranza dei documenti consultati restano pur sempre “carte di polizia”, da leggere ed esaminare in “controluce”, senza dimenticarne la natura di atti scaturiti da un apparato poliziesco all’esclusivo servizio del regime. Documenti che pur contenendo una parte della verità non consentono di per sé una imparziale lettura dei fatti se non, solo successivamente, ad una loro demistificazione e lettura critica.

Eppure da questi documenti vergati in un rigido linguaggio poliziesco abbiamo visto delinearsi i volti di questi uomini e di queste donne.

Troverete tra queste pagine dei nomi, quelli dei combattenti meridionali.

Ogni nome vale, per noi, una storia; una storia che loro stessi hanno scritto e alla quale diamo voce attraverso le loro stesse lettere sequestrate dalla polizia fascista, volutamente lasciate nella stesura originale senza correzioni di sorta.

Ne viene fuori una storia “umana” che, se perde dal punto di vista della ricostruzione scientifica, ha il merito di disegnare una cornice di motivazioni, rapporti, sentimenti, non meno interessanti.

Una storia di uomini, prima che di fatti.

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