popolo
ebraico potrebbe anche essere presa in considerazione, il pericolo
nucleare dell’Iran nulla ha a che vedere con i media di cui sopra,
sono come le armi chimiche di Saddam, come ben Laden da catturare in
Afghanistan, come il “per caso” dell’assassinio di Calipari, come
molti altri tragici o paradossali episodi della nostra
contemporaneità.
New
York, 24 gennaio 2005: Questa è una guerra contro il terrorismo
e l’Irak è solo una delle campagne. La prossima sarà quella contro
l’Iran. Riunione degli Stati Maggiori, parole di Rumsfeld, Ahmadi
Nejad non era ancora presidente, ma forse, a sua insaputa, andava
aiutato a diventarlo, per motivi di comodo, Il Grande Gioco. Rumsfeld
però è lo stesso responsabile dell’Irak, degli abusi, delle torture,
di quei crimini contro l’umanità di cui sappiamo.
Corriere della Sera, 30 ottobre2005: Téhéran viòla i principi Onu,
bisogna prenderlo seriamente. Parole del segretario di Stato Usa
Condoleeza Rice , eco alla condanna ufficiale del Consiglio di
Sicurezza dell’Onu. Cambiano i nomi, la sostanza no.
Intervenire dall’esterno o sobillare rivolte interne, è già avvenuto
in Iran, ancor più è fattibile ora, basi statunitensi sono già ovunque
intorno a quella terra, l’Iran è circondato, già. Ora.
Va riconosciuto Il Grande Gioco, vanno svegliate le coscienze sì da
guardare in faccia la realtà, le verità oltre l’apparenza, unico
strumento per non essere nel Gioco stesso, per non aderirvi, esserne
fuori, scivolare tra menzogne, tra indotte paure, essere fuori da
condanne che siano nell’azione o nel pensiero, poca la differenza.
Scivolare per iniziare a costruire una libertà di fondo ancora
sconosciuta, quella stessa che allontana dalla menzogna.
Va riconosciuto Il Grande Gioco o Babilonia continuerà ad essere
distrutta ancora e ancora sotto altri nomi, Persepoli, ad esempio, con
essa la storia dell’umanità, le sue radici. Le nostre.
Triste primato per gli Stati Uniti d’America: con Kenneth Boyd salgono a
mille le esecuzioni di condanne a morte.
di Arianna Ballotta*
Il 2
dicembre scorso Kenneth Boyd è entrato nella storia come il millesimo
condannato a morte giustiziato negli Stati Uniti d’America dalla
reintroduzione della pena capitale nel 1976. Poco prima della sua
esecuzione, in una intervista rilasciata alla Associated Press,
Boyd disse di detestare l’idea di diventare un numero. Ma così è
stato. Se non altro, il triste record è servito affinché si parlasse
un po’ più diffusamente di pena capitale, argomento troppo spesso
dimenticato, purtroppo.
Negli Stati Uniti d’America, unica democrazia occidentale che ancora
applica la pena capitale come strumento di giustizia, vengono eseguite
circa 60 esecuzioni all’anno, di cui quasi il 40% nel solo Texas. Nel
1999, anno record, le esecuzioni furono ben 98.
|
|
Fino al 1°
marzo 2005 venivano messi a morte anche i minorenni all’epoca del
reato, poi con la decisione presa nel caso Roper v. Simmons la
Corte Suprema USA ha dichiarato incostituzionale la pena di morte nei
confronti di persone condannate per crimini commessi quando avevano
meno di 18 anni. Anche per le persone affette da ritardo mentale
(patologia diversa dalla malattia mentale) sono stati fatti passi in
avanti. Infatti, nel caso Atkins v. Virginia la Corte Suprema
USA ha dichiarato incostituzionale la pena di morte nei loro
confronti, in quanto in violazione dell’Ottavo Emendamento sulle
punizioni crudeli ed inusuali. Di conseguenza, coloro che vengono
riconosciuti affetti da ritardo mentale non sono più giustiziati.
Diverso è, invece, il discorso per le persone affette da malattia
mentale (disordine bipolare, disordine da stress post-traumatico,
schizofrenia, eccetera), in quanto – purtroppo – per loro la pena
capitale continua ad essere applicata.
Nonostante l’alto numero di esecuzioni (prendendo, ad esempio, le
condanne a morte eseguite nel mondo nel 2004, gli USA hanno
giustiziato più persone di qualsiasi altro Paese, ad eccezione di
Cina, Iran e Vietnam) queste decisioni recenti evidenziano
un’importante tendenza: il Paese sta lentamente ma progressivamente
perdendo il suo entusiasmo nei confronti della pena di morte e, sempre
più frequentemente, l’ergastolo senza possibilità di libertà sulla
parola viene considerata una valida alternativa alla pena di morte.
Quando la pena capitale venne reintrodotta nel 1976 questa alternativa
non esisteva e il timore che un assassino condannato all’ergastolo
venisse prima o poi rilasciato aveva fatto aumentare considerevolmente
il favore per la pena capitale. Ora non è più così. Infatti, dei 38
Stati che prevedono la pena capitale, 37 offrono alle giurie questa
alternativa e questo ha fatto diminuire il numero di condanne a morte
emesse. Inoltre, dopo che molti studi hanno dimostrato che la pena
capitale viene applicata in modo ingiusto e bizzarro, che non ha alcun
effetto deterrente e che è alto il rischio di condannare a morte
persone innocenti (vedi caso di Richard W.Jones anno 2000), sempre più
americani si dichiarano favorevoli ad alternative. Secondo quanto
emerso da un sondaggio Gallup dell’ottobre scorso, la percentuale di
americani a favore della pena di morte è scesa dall’80% del 1994 al
64% e, quando l’ergastolo senza possibilità di libertà sulla parola
viene offerto come opzione alla pena capitale, la percentuale di
americani a favore della pena di morte scende ulteriormente,
addirittura fino al 40%.
La Pena capitale resta quindi un problema politico, un arma ancora
usata per dimostrare quanto la giustizia americana sia determinata a
punire i “colpevoli” ad ogni costo, anche coloro che dimostrano un
cambiamento,come Stanley Tookie Williams giustiziato il 13 dicembre
scorso grazie all’ostinata decisione del Governatore della California
Arnold Schwarzenegger di confermare l’esecuzione. Dal braccio della
morte, Williams ha speso12 anni a lottare contro la criminalità
giovanile, diventando un simbolo per molti giovani afroamericani dei
quartieri più degradati degli Usa. Williams, è stato più volte
candidato al Nobel per la letteratura, ed aveva anche avuto un premio
dallo stesso presidente Bush.
continua...
|