La crisi nel Libano
Cinque domande a Nicola Migliorino, docente
all’Università Al Akhawayn (Marocco) e ricercatore presso l’Istituto di
Studi Arabo Islamici dell’Università di Exeter (Regno Unito)
di Peppe Del Rossi
1) Quali
sono le ragioni dell'attuale crisi nel Libano, quali scenari sta
favorendo, sia all'interno della regione mediorientale ed eventualmente
anche esternamente ad essa ?
Credo che pochi siano disposti a credere che l’estensione e l’intensità
degli attacchi israeliani contro il Libano si possano spiegare come un
atto di autodifesa volto ad ottenere la liberazione di due soldati rapiti.
Ritengo che questa guerra sia finalizzata fino dal suo inizio, e forse da
tempo pianificata, allo scopo di ottenere il disarmo e la neutralizzazione
di Hizbullah. Come e’ già stato sostenuto da alcuni osservatori, questa
guerra non e’ scaturita dal nulla, ma si inserisce in un contesto di
continua tensione e di scontri a bassa intensità che Israele stesso ha
avuto evidentemente interesse a mantenere, a partire dal ritiro dal sud
del Libano nel 2000. Come spiegare, altrimenti, la mancata volontà di
giungere ad una soluzione delle principali questioni irrisolte con il
Libano: quella delle cosiddette Shebaa Farms (il corridoio fra Libano e
Siria, ancora occupato da Israele), quella delle circa 400,000 mine
antiuomo che Israele ha lasciato nel sud del Libano, quella dei
prigionieri Libanesi ancora detenuti, quella delle continue violazioni
dello spazio aereo Libanese, dei ripetuti sorvoli a bassa quota di Beirut,
etc.? 2)
Perché la crisi è scoppiata in questo momento? C’è una relazione con gli
eventi a Gaza?
Credo che, per quanto riguarda Hizbullah, la decisione di lanciare
l’azione per il rapimento dei soldati abbia seguito una dinamica sua
propria, in gran parte svincolata da quella del conflitto
israelo-palestinese. Il leader di Hizbullah, Hassan Nasrallah, ha
dichiarato che la preparazione dell’attacco alla pattuglia israeliana al
confine ha richiesto 5 mesi, cioè non è certo stata improvvisata in seguito
agli ultimi eventi in Palestina. Detto questo, non è escluso che la scelta
di tempo conclusiva non abbia tenuto conto della situazione regionale. Per
quanto riguarda Israele, non è chiaro perché un attacco di queste
proporzioni per ‘farla finita’ con Hizbullah sia stato scatenato proprio
adesso. E’ possibile che questa scelta abbia a che fare con la natura
della nuova leadership, post-Sharon. C’e’ chi si chiede se Sharon si
sarebbe comportato allo stesso modo.
3) Il disarmo di Hizbullah è la chiave per la soluzione di questa
crisi? E’
necessario considerare la posizione di Hizbullah nel contesto dello
scenario politico Libanese. Hizbullah non può essere considerato alla
stregua di una mera organizzazione di guerriglieri. E’ anche un partito
politico con un forte radicamento nella comunita’ sciita del paese (circa
un terzo degli abitanti). Hizbullah è anzi il partito che domina la scena
politica in seno alla comunità sciita e che la rappresenta nelle
istituzioni nazionali libanesi. Gode di un forte supporto e di una solida
legittimità, conquistate sul terreno durante gli anni della occupazione
israeliana, combattendo le forze occupanti, ma anche costruendo una
efficace rete di assistenza sociale, e mantenendo una reputazione di
rigorosa onestà amministrativa (caso raro in un paese in cui la corruzione
è un problema diffuso). Tutto questo suggerisce che gli appelli per
l’espulsione di Hizbullah dal sud del Libano sono – per usare un eufemismo
- largamente irrealistici e inutili al fine di risolvere la crisi. Un
eventuale disarmo di Hizbullah non potrà essere imposto dall’esterno, né
attraverso lo strumento dell’ONU (ad esempio attraverso la sbandierata
Risoluzione 1559), né con la forza. Dovrà piuttosto essere negoziato
attraverso un dialogo nazionale tutto libanese, che preveda ad esempio una
integrazione della milizia del partito
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La crisi nel Libano
pag. 1 di
Peppe Del Rossi
•
Il conflitto tra Israele ed
Hezbollah
pag. 2
di Nicola Magliulo
•
Tra Cavalleria Rusticana e monnezza
pag. 3
di Nicola Magliulo
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Il volo e la parola a Cuma
pag. 4
di Silvia Guardascione
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Eventi & News
pag. 5
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nell’esercito nazionale. E’ chiaro
che la guerra di questi giorni rende quel dialogo sicuramente più
difficile, e quindi allontana qualunque ipotesi di normalizzazione in
tempi brevi. E’ altrettanto evidente, mai come in questi giorni, che un
‘disarmo’ di Hizbullah non è pensabile se non nel quadro di qualche forma
di accordo regionale che garantisca la sicurezza del Libano nei confronti
di nuovi attacchi.
4) Il Libano, con le sue radicate tradizioni di politica economica, che
hanno retto nonostante la guerra civile del 1975/90 può risultare scomodo
ed ingombrante all'interno di un'area così destabilizzata?
Occorre chiarire, e forse sfatare qualche mito circa il ‘modello
economico’ libanese. Prima della guerra del 1975-1990, il Libano pareva a
molti una scommessa riuscita, una politica economica basata su laissez-faire, attrazione di capitali, costumi e consumi moderni e stretti
rapporti con l’occidente. C’era però anche un rovescio della medaglia, e
l’immagine del Libano come esempio di successo era in realtà largamente
fatua. Il paese era caratterizzato da profonde disparità, da uno sviluppo
diseguale e iniquo, da un sistema politico che perpetuava l’esistenza di
economie protette e il potere di una oligarchia di capi-clan. Per quanto
concerne la sua domanda, non credo che le ragioni della crisi odierna si
trovino nella ‘minaccia’ che il Libano porrebbe alle economie della
regione. E’ dall’inizio della ricostruzione post-bellica che il Libano
vive una fase economica difficile, non certo favorita dall’esplosione del
debito pubblico, che oggi è stimato a 30 miliardi di dollari. Chiaro,
questa guerra comporta un’ulteriore distruzione di capitale, danni alle
infrastrutture, etc., quindi di sicuro ci saranno ripercussioni molto
serie sulla crescita.
5) La comunità internazionale come può intervenire su questa crisi,
tenendo conto anche dell'"ingessatura" dell'ONU su cui pesa il veto degli Stati
Uniti?
Non è tanto la posizione dell’ONU che rende la soluzione difficile, quando
piuttosto l’atteggiamento passivo (o complice, a seconda dei punti di
vista) di una parte importante della comunità internazionale, in
particolare gli Stati Uniti e il Regno Unito. Credo che la realizzazione
di un cosiddetto ‘corridoio umanitario’ sia, oltre che urgente, anche un
importante passo in avanti. Ovviamente quello successivo sarà ottenere un
cessate il fuoco. Vedo più problematico il rafforzamento della presenza
dei caschi blu nel sud del Libano, per ragioni in parte accennate poco fa.
Credo piuttosto che la comunità internazionale dovrà tentare di favorire
il successo del dialogo nazionale libanese, ad esempio fornendo
l’assistenza finanziaria necessaria a questa ennesima ricostruzione e a
riportare il debito sotto controllo, favorendo una migliore gestione
dell’economia, uno sviluppo regionale più bilanciato. Ma soprattutto
astenendosi dall’imporre soluzioni forzate incompatibili con la dinamica
del sistema politico libanese.
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