luglio 2006 - Anno I

Numero 8

NEWS

Autorizzazione del Tribunale di Napoli N° 70 del 26/10/'05 – Direttore responsabile: Giuseppe Del Rossi - www.ulixes.it - info@ulixes.it

La crisi nel Libano

Cinque domande a Nicola Migliorino, docente all’Università Al Akhawayn (Marocco) e ricercatore presso l’Istituto di Studi Arabo Islamici dell’Università di Exeter (Regno Unito)

di Peppe Del Rossi


1) Quali sono le ragioni dell'attuale crisi nel Libano, quali scenari sta favorendo, sia all'interno della regione mediorientale ed eventualmente anche esternamente ad essa ?

Credo che pochi siano disposti a credere che l’estensione e l’intensità degli attacchi israeliani contro il Libano si possano spiegare come un atto di autodifesa volto ad ottenere la liberazione di due soldati rapiti. Ritengo che questa guerra sia finalizzata fino dal suo inizio, e forse da tempo pianificata, allo scopo di ottenere il disarmo e la neutralizzazione di Hizbullah. Come e’ già stato sostenuto da alcuni osservatori, questa guerra non e’ scaturita dal nulla, ma si inserisce in un contesto di continua tensione e di scontri a bassa intensità che Israele stesso ha avuto evidentemente interesse a mantenere, a partire dal ritiro dal sud del Libano nel 2000. Come spiegare, altrimenti, la mancata volontà di giungere ad una soluzione delle principali questioni irrisolte con il Libano: quella delle cosiddette Shebaa Farms (il corridoio fra Libano e Siria, ancora occupato da Israele), quella delle circa 400,000 mine antiuomo che Israele ha lasciato nel sud del Libano, quella dei prigionieri Libanesi ancora detenuti, quella delle continue violazioni dello spazio aereo Libanese, dei ripetuti sorvoli a bassa quota di Beirut, etc.?

2) Perché la crisi è scoppiata in questo momento? C’è una relazione con gli eventi a Gaza?

Credo che, per quanto riguarda Hizbullah, la decisione di lanciare l’azione per il rapimento dei soldati abbia seguito una dinamica sua propria, in gran parte svincolata da quella del conflitto israelo-palestinese. Il leader di Hizbullah, Hassan Nasrallah, ha dichiarato che la preparazione dell’attacco alla pattuglia israeliana al confine ha richiesto 5 mesi, cioè non è certo stata improvvisata in seguito agli ultimi eventi in Palestina. Detto questo, non è escluso che la scelta di tempo conclusiva non abbia tenuto conto della situazione regionale. Per quanto riguarda Israele, non è chiaro perché un attacco di queste proporzioni per ‘farla finita’ con Hizbullah sia stato scatenato proprio adesso. E’ possibile che questa scelta abbia a che fare con la natura della nuova leadership, post-Sharon. C’e’ chi si chiede se Sharon si sarebbe comportato allo stesso modo.

3) Il disarmo di Hizbullah è la chiave per la soluzione di questa crisi?

E’ necessario considerare la posizione di Hizbullah nel contesto dello scenario politico Libanese. Hizbullah non può essere considerato alla stregua di una mera organizzazione di guerriglieri. E’ anche un partito politico con un forte radicamento nella comunita’ sciita del paese (circa un terzo degli abitanti). Hizbullah è anzi il partito che domina la scena politica in seno alla comunità sciita e che la rappresenta nelle istituzioni nazionali libanesi. Gode di un forte supporto e di una solida legittimità, conquistate sul terreno durante gli anni della occupazione israeliana, combattendo le forze occupanti, ma anche costruendo una efficace rete di assistenza sociale, e mantenendo una reputazione di rigorosa onestà amministrativa (caso raro in un paese in cui la corruzione è un problema diffuso). Tutto questo suggerisce che gli appelli per l’espulsione di Hizbullah dal sud del Libano sono – per usare un eufemismo - largamente irrealistici e inutili al fine di risolvere la crisi. Un eventuale disarmo di Hizbullah non potrà essere imposto dall’esterno, né attraverso lo strumento dell’ONU (ad esempio attraverso la sbandierata Risoluzione 1559), né con la forza. Dovrà piuttosto essere negoziato attraverso un dialogo nazionale tutto libanese, che preveda ad esempio una integrazione della milizia del partito

 

MENÚ DI NAVIGAZIONE


UlixesNews © è una testata giornalistica online edita dall'associazione culturale Ulixes.it
Per essere avvisati alla sua uscita inviare una mail a
news@ulixes.it con scritto: "desidero essere avvisato".

In questo numero:

nell’esercito nazionale. E’ chiaro che la guerra di questi giorni rende quel dialogo sicuramente più difficile, e quindi allontana qualunque ipotesi di normalizzazione in tempi brevi. E’ altrettanto evidente, mai come in questi giorni, che un ‘disarmo’ di Hizbullah non è pensabile se non nel quadro di qualche forma di accordo regionale che garantisca la sicurezza del Libano nei confronti di nuovi attacchi.

4) Il Libano, con le sue radicate tradizioni di politica economica, che hanno retto nonostante la guerra civile del 1975/90 può risultare scomodo ed ingombrante all'interno di un'area così destabilizzata?

Occorre chiarire, e forse sfatare qualche mito circa il ‘modello economico’ libanese. Prima della guerra del 1975-1990, il Libano pareva a molti una scommessa riuscita, una politica economica basata su laissez-faire, attrazione di capitali, costumi e consumi moderni e stretti rapporti con l’occidente. C’era però anche un rovescio della medaglia, e l’immagine del Libano come esempio di successo era in realtà largamente fatua. Il paese era caratterizzato da profonde disparità, da uno sviluppo diseguale e iniquo, da un sistema politico che perpetuava l’esistenza di economie protette e il potere di una oligarchia di capi-clan. Per quanto concerne la sua domanda, non credo che le ragioni della crisi odierna si trovino nella ‘minaccia’ che il Libano porrebbe alle economie della regione. E’ dall’inizio della ricostruzione post-bellica che il Libano vive una fase economica difficile, non certo favorita dall’esplosione del debito pubblico, che oggi è stimato a 30 miliardi di dollari. Chiaro, questa guerra comporta un’ulteriore distruzione di capitale, danni alle infrastrutture, etc., quindi di sicuro ci saranno ripercussioni molto serie sulla crescita.

5) La comunità internazionale come può intervenire su questa crisi, tenendo conto anche dell'"ingessatura" dell'ONU su cui pesa il veto degli Stati Uniti?

Non è tanto la posizione dell’ONU che rende la soluzione difficile, quando piuttosto l’atteggiamento passivo (o complice, a seconda dei punti di vista) di una parte importante della comunità internazionale, in particolare gli Stati Uniti e il Regno Unito. Credo che la realizzazione di un cosiddetto ‘corridoio umanitario’ sia, oltre che urgente, anche un importante passo in avanti. Ovviamente quello successivo sarà ottenere un cessate il fuoco. Vedo più problematico il rafforzamento della presenza dei caschi blu nel sud del Libano, per ragioni in parte accennate poco fa. Credo piuttosto che la comunità internazionale dovrà tentare di favorire il successo del dialogo nazionale libanese, ad esempio fornendo l’assistenza finanziaria necessaria a questa ennesima ricostruzione e a riportare il debito sotto controllo, favorendo una migliore gestione dell’economia, uno sviluppo regionale più bilanciato. Ma soprattutto astenendosi dall’imporre soluzioni forzate incompatibili con la dinamica del sistema politico libanese.

vai a pagina 2.

stampa