A vent’anni dal disastro di Chernobyl la foresta rossa
è ricca di fauna: il paradiso all’improvviso?
di Silvia Guardascione
La rinascita
di Chernobyl comincia dagli animali.
A vent’anni dalla terribile esplosione nucleare, un gruppo di animali
selvatici si è insediato in un’estesa fascia di 30 km nelle vicinanze del
reattore esploso. Questa è sicuramente una delle poche notizie liete
scritte in occasione del ventesimo anniversario del disastro ecologico che
ha sconvolto il mondo intero, difatti un importante sito internet di
divulgazione scientifica gli ha dedicato ampio spazio.
Tutto ha luogo nella cosiddetta “foresta rossa”, l’arida regione
circostante alla vecchia centrale nucleare, che si è spogliata quasi
completamente di ogni forma di vita animale e vegetale in seguito alla
catastrofe ecologica del 26 aprile 1986, conservando resti e cadaveri
disseminati un po’ ovunque.
Qui a tratti
si registrano tassi di radioattività pari a 3500 microRontgen l’ora,
livelli altissimi, se si considera che un essere vivente ha un margine di
tollerabilità pari a 15-19 microRontgen. Il tutto però non ha minimamente
impensierito gruppi di cinghiali, volpi, lupi e lepri che, come vecchi
pionieri, hanno abbandonato le regioni al nord dell’Ucraina, in
particolare la Bielorussia, in cerca di un posto nuovo, tranquillo,
spingendosi fino alla “foresta rossa”. E qui, oltre qualsiasi aspettativa,
hanno trovato una sorta di paradiso terrestre in cui sono gli animali
stessi a farne da padrone e non l’uomo. Alcuni abitanti raccontano che
questi animali si sono spostati dai loro luoghi di origine, quasi
consapevoli delle condizioni ambientali di Chernobyl. Infatti pur
essendoci livelli di uranio e plutonio altissimi, la “foresta rossa” è
ormai povera di pesticidi, di fumi industriali e soprattutto di uomini.
Nell’area circostante al reattore numero quattro, basta guardarsi un po’
in giro per scorgere cinghiali e lepri che riposano accanto ai resti delle
vecchie fattorie abbandonate prontamente dalla popolazione locale. Ma
questa fauna selvatica non occupa tutto il suo tempo a |
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A vent’anni dal disastro di Chernobyl...
pag. 1 di
Silvia Guardascione
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Con Ismaël Ferroukhi nel cuore
dell’Islam
pag. 2
di Marika Guerrini
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Quando la ragione si sposa con la
poesia
pag. 3
di Carmen Milone
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Corso di formazione
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riposare in
tranquillità: spesso infatti si reca in “perlustrazione” per le strade di
Pripiat, la cittadina più vicina al reattore esploso ed evacuata in fretta
dai suoi 50000 abitanti. Qui, pare che il tempo non sia mai passato. Tutto
si è fermato a vent’ anni fa. Sembra di guardare un’istantanea scattata
nel lontano 1986. Dentro e fuori le case, tutto è sempre uguale, nella
stessa posizione, da ormai troppo tempo.
Ma ora dei nuovi abitanti girano indisturbati, quasi con aria fiera,
sicuri che niente e nessuno li potrà mandare via dal loro piccolo paradiso
tranquillo. Purtroppo la loro è solo una sicurezza apparente. Spesso gli
animali adulti devono difendere i loro piccoli dai bracconieri che senza
remore, e per scopi economici, ricercano prede giovani, in genere al di
sotto dei 3 anni di età, le cui pelli e carni ancora non hanno raggiunto
livelli di radioattività preoccupanti. Al momento la fauna locale è
monitorata costantemente dal radiobiologo Serghei Gashkak, da sempre
studioso della riserva naturale di Chernobyl.
Gli studi di Gashkak hanno dimostrato che gli animali che vivono già da
tempo a Chernobyl, si sono ormai adattati alle condizioni ambientali del
luogo, mentre quelli attualmente provenienti da altre regione, soffrono
enormemente appena entrano nell’area contaminata attorno al reattore
quattro.
Serghei Gashkak ha registrato inoltre molte mutazioni del DNA negli
animali che vivono da tempo nei pressi del reattore esploso, cosa che non
è successa ai “neo –arrivati” a Chernobyl, i quali non mostrano
significativi cambiamenti fisiologici e riproduttivi, ma più di tutto
profonde disfunzioni al sistema tiroideo. Il tutto è probabilmente dovuto
al minor tempo di contatto della fauna pioniera con i suoli e l’aria
radioattiva del posto. Altri scienziati locali hanno approfondito
ulteriormente gli studi di Gashkak, rafforzando prima di tutto la teoria
secondo cui le specie sopravvissute hanno sviluppato nel tempo profonde
mutazioni nel loro DNA. Inoltre hanno affermato che questi organismi
altamente mutati non sono mai stati realmente studiati, perché morti
troppo precocemente per cause naturali. Per il momento, a riguardo,
nessuno scienziato ha assunto una posizione definita.
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