Anno Internazionale della Luce con “Hypatiae Arte e Scienza”, un rilevante e avvincente confronto tra artisti e scienziati a Pavia

di Giulia Urbinati

Artisti e scienziati: uomini e donne appassionati della realtà, che spendono la propria vita per osservarla e interpretarla. Questi i protagonisti che si sono confrontati nel primo evento della rassegna “La luce nell’arte e nella scienza”, organizzato dall’Associazione culturale Hypatiae Arte e Scienza presso il Collegio Cairoli di Pavia. Energie intellettuali e morali che si avventurano nell’esplorazione di una dicotomia antica come il pensiero umano.

Il 2015 è stato proclamato Anno Internazionale della Luce dalle Nazioni Unite, e così la tematica della luce si offre alla riflessione di artisti e scienziati, alla loro creatività e curiosità, per un dialogo che è diventato occasione di prezioso arricchimento culturale.

La luce è l’essenza stessa del linguaggio pittorico, uno strumento comunicativo e interpretativo che si rafforza lungo la storia dell’arte, come ha illustrato il pittore Giuliano Collina dando lettura del capolavoro di luce che Caravaggio crea nella Vocazione di San Matteo. Il chiarore del flusso luminoso che investe prima Cristo e poi Matteo guida l’occhio stesso di chi guarda all’interpretazione del dipinto. La luce non è solo illuminazione di ciò che accade, ma è protagonista della scena e portatrice del senso più profondo di ciò che sta accadendo.

D’altra parte, la percezione della luce da parte dell’osservatore è fortemente legata al soggetto che guarda. Lucio Fregonese e Giorgio Guizzetti, rispettivamente professori di Storia della Fisica e Fisica della Materia presso l’Università di Pavia, hanno portato la loro voce di scienziati per descrivere come la luce è stata interpretata in passato e come è interpretata oggi dalla scienza. L’arcobaleno che tinge il cielo dopo la pioggia, ha raccontato Lucio Fregonese, in passato veniva percepito come composto da soli tre colori, mentre oggi siamo soliti dire che i colori dell’arcobaleno sono sette. In realtà il numero di colori dell’arcobaleno è legato alla nostra percezione, per cui non esiste una risposta giusta e una sbagliata. La percezione dei colori è qualcosa che è mutato nel tempo, come è mutato il contesto culturale nel cui ambito le teorie scientifiche sono state via via elaborate. Come ha illustrato Giorgio Guizzetti, i colori che vediamo nella natura e che manipoliamo con la tecnologia sono frutto della funzionalità degli occhi e del cervello, che in forma di colori rappresentano il risultato dell’interazione della luce con la materia che compone il nostro mondo. I fenomeni fisici che determinano il colore degli oggetti si confrontano poi con la rappresentazione che il nostro cervello ne trae, lasciando spazio alla percezione che può variare nel tempo, e da persona a persona.

Certo è che la luce intesa come fenomeno naturale ha preteso un’interpretazione da parte della mente umana fin dall’antichità. Già la filosofia naturale antica infatti, antenata della scienza moderna, ha fornito una propria lettura del fenomeno luminoso. Il filosofo Paolo Filippo Galli ha offerto un viaggio nella Grecia dei primi secoli dopo Cristo, alla scoperta del pensiero di Proclo, ultimo filosofo rappresentante dell’Accademia Platonica di Atene. Proclo interpreta la luce come origine stessa dello spazio. Si tratta di una concezione che si traduce in una forma artistica ben nota: i fondi oro della pittura bizantina sono stati ispirati proprio dall’interpretazione dello spazio introdotta da Proclo. L’oro dello sfondo è l’interpretazione artistica dello spazio come luce, che poi nella lettura cristiana rimanda a Dio stesso come luce sacra che origina e permea tutte le cose.

La luce ha affascinato pensatori, artisti e scienziati di tutte le epoche. Mario Rasetti, professore emerito di Fisica Teorica presso il Politecnico di Torino, ha sottolineato che attualmente un dibattito di grande rilevanza a livello scientifico e culturale è quello che riguarda gli aspetti percettivi della luce indagati nell’ambito delle Neuroscienze. È nella nostra percezione infatti che avviene la sintesi tra la natura della luce come ente fisico e la nostra personale esperienza del fenomeno luminoso, che si tratti di volgere lo sguardo a un fenomeno naturale come l’arcobaleno o all’opera frutto del genio artistico di Caravaggio.

Giulia Urbinati  nasce nel 1988 a Urbino. Vive l’infanzia e la prima giovinezza a Pesaro, conseguendo la maturità classica nel 2006. Sul suo percorso umanistico si innestano poi gli studi scientifici: accede mediante concorso al Collegio Universitario Santa Caterina da Siena e all’Istituto Universitario di Studi Superiori (IUSS) di Pavia. Consegue nel 2012 la laurea magistrale in Fisica presso l’Università di Pavia con una tesi dal titolo “Materiali e strutture per sensori ottici a fluorescenza”, insieme al Diploma di Licenza della Classe di Scienze e Tecnologie presso lo IUSS. Prosegue quindi la formazione in ambito scientifico: nell’autunno 2012 concorre con successo a un posto nel programma di dottorato di ricerca presso il dipartimento di Fisica dell’Università di Pavia. Nello stesso periodo ottiene mediante concorso un posto da alunna del Master in Comunicazione della Scienza organizzato dalla Scuola Internazionale di Studi Superiori Avanzati (SISSA) a Trieste. Tra Trieste e Pavia trascorre così gli anni 2013 e 2014, portando avanti l’attività di ricerca in microfotonica dei semiconduttori, insieme a quella di divulgazione e organizzazione di eventi culturali. Nel 2014 collabora inoltre al Festival della Scienza di Genovacome animatrice scientifica. Consegue il titolo di Master in Comunicazione della Scienza nel Febbraio 2015, con una tesi dal titolo “Valutazione della Qualità della Ricerca: la comunicazione sulla stampa italiana”. Presso il dipartimento di Fisica dell’Università di Pavia attualmente prosegue l’attività di ricerca nell’ambito del dottorato, su strutture fotoniche per circuiti ottici integrati.

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