“Bufale”. Oltre l’80% del campione di studenti analizzati non le riconosce

Secondo fonti ANSA, riprendendo un rapporto pubblicato dall’università di Stanford sul proprio sito e basato su quasi ottomila studenti delle superiori o dei primi anni di università, la maggior parte dei teenager non è in grado di distinguere una notizia vera da una falsa sui social. L’autore dello studio Sam Wineburg, ha spiegato in un comunicato che questo era focalizzato sulla capacità di analizzare news lette su social network e siti o blog. E’ emerso che l’82% degli studenti non è in grado di riconoscere la verità da una “bufala” più o meno palese. L’autore ha quindi anche voluto dimostrare che, sebbene i giovani siano quotidianamente alle prese con i social e dovrebbero quindi conoscerli a fondo, in realtà non è così.

Cogliamo dunque lo spunto offerto da questo studio per analizzare una realtà che verosimilmente è anche la nostra in Italia e in moltissimi altri stati. Perché un giovane che è alle prese con l’informazione proveniente dal web tutti i giorni, non sarebbe in grado di distinguere la veridicità di ciò che legge? Forse la risposta è da ricercare nel fatto che oggigiorno sul web si subisce passivamente l’informazione perché si è letteralmente bombardati, anche se non la si ricerca direttamente. Nel paragone con un passato non troppo remoto, possiamo osservare come anni fa, fosse il singolo utente che andava a ricercare le notizie che più gli interessavano e come egli, spinto dalla curiosità, andasse a fondo di ciò che leggeva, concludendo la sua “ricerca” solo quando avrebbe ricevuto una risposta che fosse stata esauriente. Oggi, questa necessità di andare a ricercare la notizia che più interessa non c’è più. Perché nel flusso continuo di informazione che giunge a noi utenti, in mezzo a tante notizie che non ci interessano direttamente e di cui quindi non ci curiamo troppo, dando una lettura superficiale, ci sarà anche quell’ unica informazione che ritenevamo rilevante, che “prima o poi arriverà” (sempre che non ci si fosse distratti con altro nel frattempo). Ed è in questo piccolo grande spazio del flusso di notizie irrilevanti che colgono la nostra attenzione solo per la loro assurdità, che si inseriscono bufale, trovate pubblicitarie, calunnie e gossip. Con la preoccupante abitudine a fruire costantemente e passivamente di questo tipo di “informazione”, col tempo si smette di domandarsi il perché di ciò che si legge, e col passaparola che ne seguirà ci si faranno ancora meno domande, accettandone la veridicità magari basandosi soltanto sull’ autorevolezza e sulla considerazione della fonte da cui abbiamo appreso il tutto, senza pensare all’ incombente rischio che questa sia caduta nello stesso circolo vizioso.

A volte, quando ci si ferma un momento a riflettere su ciò che si è appena letto, ci si domanda meravigliati com’ è possibile che qualcuno possa credere ad una bufala evidente, ma basta un attimo di superficialità nell’ approcciarsi alla prossima notizia e, facendosi coinvolgere nella gara per arrivare per primi ad essa, si rischierebbe lo stesso epilogo. Quanto detto fino ad ora, fa comprendere i rischi di un’informazione che ci racconta il mondo quando non siamo pronti a farci domande su di esso, perché il ruolo dell’ informazione non è quello di raccontarlo semplicemente, ma di rendercene partecipi.

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