Le adolescenti ed il futuro del pianeta

di  Antonio Virgili  e  Anna Chiara Cammarota

Nell’autunno del 2015 ricorrono i 70 anni dalla fondazione delle Nazioni Unite ed in tale occasione, in stretta relazione con analoghe recenti iniziative dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è stato presentato il piano globale di intervento 2016-2030 per la salute sessuale e riproduttiva di donne  ed adolescenti.   Il sovrapporsi di tali proposte e ricorrenze, certamente non casuale, indica che l’attenzione verso questo tema sembra aver raggiunto una piena consapevolezza, una “chiamata all’azione” sul tema.   Curare la prevenzione e la salute riproduttiva e sessuale di donne ed adolescenti è infatti un investimento sul futuro, nel senso anche letterale che le nuove generazioni passano attraverso e derivano da quella femminile attuale.     Speciale e nuovo risalto è dato, nel contesto di tali programmi, alla fascia d’età adolescenziale, per molti aspetti ingiustamente meno al centro dell’attenzione.    Se infatti verso le delle donne adulte e le bambine sono stati sviluppati interventi in campo riproduttivo per le prime e di tutela generale per le seconde, per le adolescenti spesso si è trattato di azioni residuali e limitate.    Oggi, a fronte di una struttura demografica mondiale nella quale la fascia di adolescenti, dai 12 ai 18 anni (ma alcune classificazioni pongono gli estremi dell’adolescenza a 10 ed a 19 anni), comprende un ammontare della popolazione molto ampio -circa un miliardo e mezzo-, le iniziative d’intervento e prevenzione sono inferiori alle necessità.   Il primo errore è frammentare questa fascia demografica in “quasi bambine” ed in “quasi adulte”, non solo ignorando le caratteristiche  proprie di questa fase evolutiva individuale ma anche sottovalutando le differenze geografiche e culturali.   In alcune aree, una ragazza quattordicenne è classificata come bambina e trattata come tale, in altre aree è considerata una donna e probabilmente ha anche già avuto una gravidanza.  La prima consapevolezza dovrebbe quindi essere la specificità del periodo vitale dell’adolescenza, con la tipicità delle trasformazioni anatomiche, psicologiche e sociali e le relative instabilità, sensibilità e contraddizioni, tutte foriere di rischi potenziali.      Per dare una idea, secondo dati ONU nei Paesi in via di sviluppo una ragazza su tre si sposa prima di aver compiuto i 18 anni, mettendo a repentaglio salute, istruzione e prospettive per il futuro. Ai matrimoni precoci sono connesse le gravidanze adolescenziali, con tutto ciò che questo comporta in termini sanitari e non solo. Quasi la metà del totale di tutti gli abusi sessuali sono perpetrati su ragazze che hanno meno di 16 anni. Così come sono bambine e adolescenti a subire le mutilazioni dei genitali ed a correre il più alto rischio di contrarre HIV/AIDS o altre malattie sessualmente trasmissibili.

La seconda consapevolezza è che ignorare i rischi potenziali per un ammontare così ampio di popolazione ha costi molto alti, sia umani che economici.  Ridurre i rischi implica azioni di prevenzione, informazione, educazione, i cui costi risultano comunque nettamente minori rispetto a quelli di vite allo sbando, di persone malate da curare, di future donne adulte a rischio.  Per non ignorare i rischi, ovviamente, bisogna osservare la realtà ed intervenire, non far finta di non vedere e sapere in nome di presunte giustificazioni culturali o religiose.  Pur con le diversificazioni di età e di luogo, esistono i temi della violenza, della sessualità della contraccezione, delle gravidanze che, forse scomodi ad alcuni, non per questo scompaiono dall’orizzonte del mondo reale.  Lo sforzo di realizzare interventi mirati, che siano rispettosi delle caratteristiche adolescenziali e che colgano le esigenze di un mondo in trasformazione, dovrebbe coinvolgere tutti, senza astensioni od ipocrite  obiezioni  di coscienza.  In ciò, il persistere e risorgere di visioni sociali ed addirittura sanitarie subalterne alle varie religioni costituisce certo un ostacolo che in alcune aree non è secondario.

Una terza consapevolezza quindi, più legata al sistema sociale e culturale, è la necessità di non pensare che le adolescenti esistano quasi solo per le campagne pubblicitarie e per il consumo (nei Paesi ricchi), corteggiate a volte dai movimenti politici o sfruttate per il lavoro o la guerra (specialmente nei Paesi poveri) ma comunque poco rispettate sia dagli uni che dagli altri.  Non solo, le adolescenti sono anche soggetto-oggetto di norme sociali e giuridiche non di rado contraddittorie, in alcuni casi sono assimilate ad adulte in altri sono prive di autonomia.  La fluidità comportamentale e la velocità di trasformazione delle persone in quella fase di età è nota, l’assenza di chiare fasi di passaggio (“i riti di passaggio” di memoria antropologica) in molte società rende ancor più vaghi i confini ed approssimative le norme, specialmente per quanto attiene riproduzione e sessualità.

L’attenzione al tema della salute sessuale e riproduttiva riguarda non solo la sfera sessuale in senso stretto, ma fa riferimento al tema più ampio dell’educazione alla salute.     Educare alla sessualità significa, in primo luogo, trasmettere ed acquisire conoscenze scientifiche che contribuiscano ad evitare comportamenti che possono potenzialmente generare infezioni, malattie o gravidanze indesiderate ed incoraggiare uno stile di vita basato sulla salvaguardia della salute.     In secondo luogo significa sopratutto educare gli individui alla ”responsabilizzazione” del proprio comportamento sessuale, attraverso la conoscenza dei rischi che si corrono, ad un buon rapporto con se stessi e ad un ruolo attivo e consapevole nell’ espressione della propria sessualità.       Le persone hanno il diritto di condurre una vita sessuale consapevole, sicura e soddisfacente. A tale scopo è necessario che esse siano informate, abbiano accesso a metodi sicuri per la contraccezione, a servizi sanitari adeguati e sostegno psicologico specializzato. In particolare, durante l’età adolescenziale, un momento fondamentale nello sviluppo della personalità dell’individuo e del suo concetto di salute, l’approccio ad una ”buona” educazione e l’incontro con strutture socio- sanitarie adeguate, possono contrastare alcune delle principali problematiche tipiche di questa fascia di età (disturbi alimentari e sessuali).   Sia nei paesi sviluppati, che in quelli in via di sviluppo, dove l’accesso all’ istruzione è purtroppo limitato in particolare per le bambine, l’educazione alla sessualità dovrebbe divenire parte fondamentale del percorso educativo generale.

Più educazione sessuale e riproduttiva significa maggiore benessere per tutti. Esiste uno stretto rapporto tra questi due temi, ad esempio, una gravidanza precoce può interrompere il percorso scolastico (un fenomeno particolarmente rilevante nei paesi in via di sviluppo, dove l’abbandono scolastico e l’analfabetismo hanno numeri spaventosi) e conseguentemente ridurre notevolmente le possibilità di autonomia economica femminile a causa del mancato accesso al mercato del lavoro laddove possibile, mentre i costi di trattamento per problemi sessuali e riproduttivi aggravano povertà individuali e familiari.      Minore istruzione significa maggiore rischio di vedere violati i propri diritti, in particolare nell’attuale contesto politico ed economico dove il liberismo imperante, unito alla recessione economica e ad un ruolo sempre minore dello Stato, con i continui tagli alla sanità pubblica (laddove esiste) e la relativa riduzione della qualità dei servizi minaccia il rispetto della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi. Diviene così di fondamentale importanza anche per i paesi ricchi, una attenzione maggiore alla difesa dei diritti sessuali e riproduttivi in quanto diritti umani fondamentali.   La promozione della salute sessuale e riproduttiva ha infatti un effetto positivo sulla vita di tutta la comunità e dovrebbe iniziare inevitabilmente durante l’adolescenza.

Educazione delle adolescenti vuol dire anche lotta contro la fame, in quanto una popolazione istruita ha potenziali strumenti per contrastare la povertà; vuol dire lotta contro le malattie (proprie e dei loro figli), spesso dovute alla mancanza di conoscenza delle comuni norme igieniche; vuol dire formazione professionale e quindi capacità di lavorare e produrre ricchezza; vuol dire lotta alla violenza di genere, dotando le donne di strumenti per la rivendicazione della parità con l’altro sesso, non nell’ omologazione all’uomo ma nella messa in evidenza della propria diversità e specificità.   Educazione, infine, vuol dire promuovere la partecipazione attiva delle adolescenti affinché siano in grado di sostenere autonomamente il proprio progresso economico, politico e sociale in direzione di un mondo migliore per tutti.

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