L’Istituto per la BioEconomia del Consiglio nazionale delle ricerche ha stabilito provenienza e datazione – intorno al 40 d. C – delle 24 tavole di quercia provenienti dalla Francia nord-orientale e usate per le fondazioni di un portico, venuto alla luce a Roma durante i lavori della Metro C. Lo studio è pubblicato su Plos One.
Hanno fatto un lungo viaggio le ventiquattro tavole di quercia trovate fortuitamente a Roma, durante i lavori per la Metro C in via Sannio (zona San Giovanni in Laterano), utilizzate per le fondamenta di un portico romano di epoca imperiale. A dirlo sono le indagini scientifiche condotte dall’Istituto per la bioEconomia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibe) di San Michele dell’Adige (Trento) su committenza della Soprintendenza Speciale di Roma, che oltre a individuare la provenienza dei reperti lignei dalla Francia nord-orientale – area compresa tra il massiccio del Giura e l’alta Valle del Reno – ne ha circoscritto la datazione al 40 d.C., epoca affine alla cronologia degli altri manufatti scoperti sul luogo. Lo studio è pubblicato sulla rivista Plos One.
“Le tavole, lunghe circa quattro metri, costituivano le casseforme di fondazione di un portico riccamente decorato, appartenente a una vasta proprietà appena fuori dalle antiche mura Aureliane. I campioni di legno erano dunque già in origine destinati a rimanere sottoterra e sono arrivati fino a noi grazie all’ambiente umido di conservazione”, spiega Mauro Bernabei del Cnr-Ibe, autore del lavoro con il collega di Istituto Jarno Bontadi. “La datazione è stata effettuata mediante dendrocronologia, la scienza che studia gli anelli di accrescimento degli alberi. Le sequenze ottenute dalle tavole sono state confrontate con quelle della stessa specie, diffusa in varie aree europee: abbiamo potuto così verificare le analogie maggiori con quelle degli alberi cresciuti nei boschi della Francia settentrionale”.
Ma perché i Romani si rifornirono così lontano, potendo contare sui boschi dell’Appennino centrale? “Le tavole furono ricavate da tronchi molto alti e con caratteristiche meccaniche adatte all’uso cui questo legno era destinato, cioè delimitare l’area di fondazione. I Romani in Appennino avrebbero trovato con difficoltà dei fusti con tali proprietà, è presumibile quindi che abbiano preferito approvvigionarsi in zone meno sfruttate”.
Il trasporto di alti fusti su una percorrenza così lunga rende chiara l’efficienza della macchina logistica dell’epoca, in grado di movimentare materiali dai confini dell’Impero fin nel cuore dell’Urbe, lungo vie fluviali come la Saona e il Rodano, poi attraverso il Mediterraneo, fino alla foce del Tevere da dove i fusti sono risaliti fino a destinazione. “Se in epoca romana è ben noto il commercio di lunga distanza per materiali come i marmi, per il legno si sa ancora poco e la logica ci porta a ipotizzare un approvvigionamento dalle aree più prossime alla città. Questo ritrovamento di legname di provenienza estera per usi strutturali, invece, induce a pensare che importazioni di questo genere fossero una consuetudine”, conclude Bernabei.
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