L’Utopia Della Vicinanza


foto pdr

Profilo di Fabrizia Ramondino tratto da : “Il deserto e la scrittura: prossimità e solitudine” di Maria Gaita Presidente dell’Associazione Febe.

Narni 25 settembre 2009 – Da anni, un’associazione femminile:”FEBE” di cui faccio parte, mantiene viva a Pozzuoli un’esperienza che coinvolge donne iscritte e non: scegliere scritti di narratrici, leggerli insieme, confrontarsi, discutere, riconoscere, se è possibile, un nuovo simbolico che le scrittrici possono creare o creano.
Lo scorso anno, una di noi propose di leggere “Arcangelo” di Fabrizia Ramondino.
Quindici racconti che rievocano l’Italia degli anni del dopoguerra: il boom economico, la contestazione, i diritti civili, il colera del 73, il terremoto dell’ottanta; storie di donne, di uomini tra fedeltà a se stessi e disincanto.
Il 24 giugno la notizia della sua morte: un tuffo nel mare di Gaeta, mentre Giuseppina, la sua segretaria, le preparava una tazza di caffè.
Lo sconcerto fu enorme.
Una di noi, propose allora la lettura di ”La via” appena pubblicato.
Leggemmo e rileggemmo insieme questo romanzo. Non a tutte piacque, da altre fu considerato straordinario.
Fu allora che alcune di noi decisero di intraprendere un viaggio per incontrarla, attraverso le sue opere, la sua vita, la sua militanza politica , le testimonianze delle persone che l’hanno conosciuta.
Fu difficile, se non impossibile ritrovare in libreria tutti i suoi scritti, li avemmo da Anna Stanco dell’associazione “Quartieri Spagnoli”, sua amica ai tempi dell’ARN.
Partimmo tutte dalla lettura de“l’Isola Riflessa”, premio Elsa Morante nel 2000.
Introvabile in libreria, un amico comune fotocopiò per il gruppo un certo numero di copie. Un testo difficile, doloroso, inquietante che ci ha scosso profondamente.
Poi ognuna di noi scelse un testo: Guerra d’infanzia e di Spagna, Un giorno e mezzo, Passaggio a Trieste , Star di casa, Taccuino tedesco, Ci dicevano Analfabeti, Il Calore.
Inizio a raccontare la sua vita sottolineando alcuni aspetti fondamentali che sono a mano a mano emersi dalla sue opere e dalle testimonianze.

Intanto la caparbietà con cui sosteneva la necessità e la possibilità di poter mutare lo stato delle cose.
Poi, la capacità di ascolto; Fabrizia con chi si relazionava, voleva sapere di tutto, dei genitori, dei figli, di eventi presenti, passati.
E ancora, tutti i suoi scritti sono contaminati dalle sue vicende personali, vicende che le permettono di entrare nella storia collettiva perchè lei, raccontando gli altri e le infinite storie degli altri, ha sempre finito con il raccontare se stessa; e finzione e realtà hanno sempre trovato una fusione mirabile e infine, la novità della sua scrittura:densa, colta, fantasiosa, sincopata. “La mia scrittura-sosteneva-coincide con il mio corpo contenitore fragile della dismisura.”
Fabrizia nasce a Napoli il 31 agosto del 36, la madre appartiene a una colta famiglia della borghesia napoletana; il padre e’ Console; nella Spagna franchista nel 36 scoppia la guerra civile, e il padre viene inviato a Maiorca.( per il regime, l’isola rappresenta una buona base strategica)
Quando la famiglia si trasferisce nell’isola Fabrizia ha pochi mesi “In guerra di Spagna e di Infanzia” si opera la prima e profonda spaccatura tra il mondo borghese che appare negare ogni vitalità nei suoi rituali di relazione e ogni valore della vita nel vuoto formalismo esistenziale, e il mondo dei servi.
La cucina, il cortile e, Dida, la sua balia sono il suo mondo:“Mi piaceva andare nel suo cortile. Mamita non voleva. Allora mi mettevo a strillare,mi aggrappavo alla gamba di Dida, mordevo mamita se tentava di afferrarmi, le soffiavo come un gatto furente.
Lei diventava pallida, non sapeva che fare, Dida mi sollevava da terra con un suo braccio, mi portava alla fontana a sciacquarmi la faccia, mi faceva bere un goccio d’acqua per calmarmi, mi batteva sulla schiena per farmi passare il singhiozzo, poi decretava nel suo tribunale d’amore “els nins no plorent”e aggiungeva”almeu pati hi ha lloc a tots”. Dopo che mi ero calmata, seduta sul suo braccio come su un trono, sicura che mi avrebbe condotta con se, accettavo il suo invito……Dida, mi deponeva subito, lasciandomi scivolare giù dal suo trono d’amore, io non protestavo..E “In star di casa “ del 91, dirà “….non ho avuto una madre lingua, ma due, l’italiano con mia madre e il maiorchino della mia balia.” In” Guerra di infanzia e di Spagna” aveva sostenuto…”Credevano i miei genitori di darmi due nomi per ogni cosa, e non sapevano di darmi due cose per ogni cosa…..il bilinguismo fu uno strumento e veicolo per la mia fantasia, ma nel contempo contribuì ad alimentare la mania di sentirmi sempre offesa e derubata, quasi mi fossero continuamente strappate le cose più intime e care.” e sempre “In star di casa”….Sono cresciuta col complesso del conflitto madre-balia: un complesso di classe, che, pur esprimendosi in varie forme, ha segnato tutta la mia vita.”
Fui da ragazza un’intellettuale pretenziosa-ignorante quindi delle regole della ragione- e fredda-ignorante quindi delle ragioni del cuore. Ma pronta all’avventura, esposta quindi, seppure inconsapevolmente, al rischio di naufragare fra gli scogli della ragione e i marosi del cuore.
Fui salvata dai bambini dei vicoli di Napoli e dalla bambina dei vicoli dell’incoscio che era in me.
Cosi nacque l’ ARN (Associazione Risveglio Napoli) e con essa la mia discreta attività poetica, la mia nascosta gravidanza.
Ma rimaneva pur sempre il complesso madre-balia, cioè il divario tra mondo dei padroni e dei servi.
Solo dopo aver dato voce alla balia riuscii a dar voce alla signora….La voce della balia si espresse in una raccolta di scritti e disegni di bambini dei vicoli e delle campagne napoletane, verso il 64 poi attraverso quella dei disoccupati organizzati nel 77 la voce della madre quella della vergogna della cultura e del riscatto da essa si espresse solo poi, nella mia attività letteraria vera e propria.
Dal latte e dalle braccia della balia potei passare all’acqua ora acidula come l’aceto, ora inebriante come il vino e alle esili mani ora guantate, ora nude ma dalle unghie dipinte, ora distanti come raggi di stelle ora vicine come l’eco-della madre.(Taccuino tedesco)

Nel 44 il padre decide di tornare in Italia ma a Tangeri la nave è intercettata dagli Inglesi che fanno prigionieri tutti gli uomini e lasciano andare le donne e i bambini.
La madre, Fabrizia e i fratelli Giancarlo e Annalisa sbarcano a Napoli.
Napoli è distrutta: tutte le case di via Marina, ”mentre l’attraversano con il tram”, sono sventrate.
La madre si trasferisce a Casamale, paese alle falde del Vesuvio, presso parenti. Il padre morì nel ’50.
Fabrizia dirà “nelle prime settimane di lutto versai il primo sangue mestruale”
La madre si trasferisce ancora, questa volta a Capo di Sorrento presso lo zio Pietro Lavia.
Fabrizia ,dopo aver conseguito la licenza media in Francia, a Chambery in Savoia, lì il padre era Console, la troviamo frequentare il liceo Umberto di Napoli, questa volta abita a viale Elena.
Dirà in “Taccuino tedesco “ “Conseguii la licenza liceale brillantemente ma prima di conoscere il risultato, partii per la Francia dove avevo vinto una borsa di studio dell’Alliance Francaise. Tanto ero ignorante della vita, quanto ero brava a scuola. Con questo bagaglio di sapienza e di ignoranza partii con una piccola valigia per la Germania.
Siamo nel 54, dirà ancora “Dovevo imparare ad amare e lavorare, e lavorare significava guadagnare soldi :dovevo diventare adulta.”
Soggiorna a Francoforte e di questa esperienza dirà”Scoprii l’unico modo possibile per sfuggire alla legge del mondo verso la quale sentivo una segreta ripugnanza. Scrivere significava diventare adulta a mio modo, non al loro. Tornai a casa nell’autunno inoltrato carica di racconti e di tic.
Qualcosa in quell’anno e mezzo si era rotto tra me e la vita. Non mi sentivo più la sua promessa.
“In questo senso ero diventata adulta. Una adulta un po’ zitella, mia sorella notava che ridevo quando bisognava piangere e viceversa.”
Per alcuni mesi va a studiare e a lavorare a Roma.
Nel 56 va di nuovo in Germania questa volta soggiorna a Monaco.
Nel 58 è a Napoli. Nel Giuglianese organizza per l’A.I.E.D. assemblee di donne: braccianti agricole. La sfida è la libertà sessuale e il controllo delle nascite e i diritti del lavoro; il movimento delle donne non ha fatto ancora sentire la sua voce.
Dopo un lungo viaggio solitario in autostop attraverso la penisola, la vediamo insieme a studenti universitari, intellettuali, donne, dar vita all’ARN.
Intanto, siamo nel 64, Fabrizia, da iscritta e militante, lascia il P.S.I. che entra a far parte del governo.
E, prima al Pallonetto di Santa Lucia e poi a San Biagio dei librai a Palazzo Marigliano, si organizzano asili alternativi per i bambini del quartiere San Lorenzo; seguendo gli insegnamenti di Don Milani, di Freneit di Capitini, si valorizzano l’importanza della parola, della scrittura e della cultura, fondamentali per chi vive ai margini della società. La sinistra ufficiale non comprende questo tipo di iniziativa e Fabrizia è paragonata a una dama di San Vincenzo.
La disapprovazione diventa ostilità, quando dopo l’esperienza del MIM (movimento insegnanti medi) di Milano 1968, contribuisce con altri intellettuali a dar vita a Napoli, nel 69, al Centro Coordinamento Campano (questione meridionale, questione agraria, organizzazione del proletariato precario).
Il coordinamento, in un’ottica maoista, così come il maoismo in Europa è inteso, a partire da Sartre, focalizza la sua attenzione alla modificazione che, attraverso la cultura, si riesce ad operare nel mondo e nel mondo dell’emarginazione; attraverso l’inchiesta – ricerca, prende parola il mondo
emarginato.
Fabrizia Ramondino raccolse le storie di vita, le opinioni e il contesto in cui maturava il movimento dei disoccupati organizzati.
Nel novembre del 77 è pubblicata la prima edizione: ”Ci dicevano analfabeti”.
Dalle lotte dell’Italsider e dal movimento di studenti universitari extraparlamentari nel contesto, quindi, del 68 e delle rivendicazioni femminili, nasce il romanzo “un giorno e mezzo “ .
Siamo nel settembre del 1969, in un fine settimana, a via Manzoni, sulla collina di Posillipo si ritrovano negli spazi di “villa Amore” decine di personaggi: negozianti, operaie, professionisti, suore, bambini, studenti, rivoluzionari veri o presunti tali; si incrociano storie personali e familiari, si accendono discussioni ideologiche di gruppo e tra amori precari e grandi passioni le più giovani tentano di conciliare la militanza politica con la difficoltà di una vita privata e c’è chi come Irene nella concretezza del suo agire, tenta di modificare qualcosa nella sua città; sembra che la scintilla della utopia rimanga affidata alle umili cure quotidiane. Sullo sfondo l’inizio della grande speculazione edilizia da un lato e dall’altro l’illusione di una grande rinascita sociale.
Nella realtà Villa Amore è Villa Patrizi, e lì Fabrizia ha vissuto anche il suo amore con Livio Patrizi dalla loro relazione, nascerà Livia. Solo per inciso, voglio ricordare che la Ramondino aveva sposato, giovanissima, Francesco Alberto Caracciolo e con lui aveva abitato nella Torre Caracciolo a Pianura.
Nel 1973, nel vico Cappuccinelle a Montesanto, nasce “La mensa per i bambini proletari” il contributo e l’esperienza della Ramondino si fanno sentire.
Tra gli anni “80-90-2000” Fabrizia fa sentire la sua voce soprattutto nel campo artistico e letterario; ALTHENOPIS è dell’ 81; STORIE DI PATIO dell’ 83; UN GIORNO E MEZZO dell’ 88 ; STAR DI CASA del 91; IN VIAGGIO del 95; CI DICEVANO ANALFABETI del 97; L’ISOLA DEI BAMBINI del 98; L’ISOLA RIFLESSA del 98; PASSAGGIO A TRIESTE del 2000; SMANTELLAMENTO A DELL’ ITALSIDER del 2001; sempre del 2001 GUERRAD’INFANZIA E DI SPAGNA; IL LIBRO DEI SOGNi; L’ANCORA DEL MEDITRERRANEO 2000; IL CALORE 2004; ARCANGELO E ALTRI RACCONTI, del 2005 e infine LA VIA.
Poi ci sono gli anni del ”MATTINO” e con lei collaboravano scrittori come DOMENICO REA, GUIDO ALMANSI e poeti come SALVATORE DI NATALE e FRANCO CAVALLO.
A Napoli vive una vita intensa e mentre continua a girare per il mondo e ad abitare molte case, ne vorrei ricordare una quella nello splendido Palazzo Spinelli a Via Tribunali Nel 97, lascia Napoli e e andrà a vivere a ITRI.

“Credo che la nostra vita sia un passaggio come i cantastorie di una volta che viaggaiavano da una città all’altra, sento di essere di passaggio all’interno di un romanzo di un racconto”. (fabrizia ramondino)

Lascia un commento su "L’Utopia Della Vicinanza"

Commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato


*