Riforma del MiBACT. La semplificazione che non c’è

E’ argomento caldo nell’ultimo periodo il dibattito riguardante la riforma del MiBACT (Ministero dei Beni e delle attività Culturali e del Turismo) ad opera del Ministro Dario Franceschini. Questa riforma prevede la riorganizzazione del Ministero dei Beni e delle attività Culturali e del Turismo facendo leva sulla politica di spendingreview, riducendo le figure dirigenziali e intervenendo su 5 punti:
1) La assoluta mancanza di integrazione tra i due ambiti di intervento del Ministero, la cultura e il turismo;
2) La eccessiva moltiplicazione delle linee di comando e le numerose duplicazioni tra centro e periferia;
3) Il congestionamento dell’amministrazione centrale, ingessata anche dai tagli operati negli ultimi anni;
4) La cronica carenza di autonomia dei musei italiani, che ne limitano grandemente le potenzialità;
5) Il ritardo del Ministero nelle politiche di innovazione e di formazione.

La riforma, inoltre, ha ridefinito le Direzioni regionali in Segretariati regionali del MiBACT, le Soprintendenze archeologiche in articolazioni periferiche della Direzione centrale, e quelle miste, delle arti e del paesaggio, in articolazioni della relativa Direzione. Mentre le Soprintendenze per i beni storico-artistici e quelle per i beni architettonici sono state accorpate, portando alla formazione di 41 presidi di tutela su tutto il territorio nazionale. Stesso principio per le biblioteche, tra le quali quella nazionale centrale di Roma e quella nazionale centrale di Firenze dovranno svolgere anche la funzione di poli bibliotecari comprendenti le altre biblioteche che operano nel territorio comunale.

In quest’ultimo passaggio, si può notare come la semplificazione desiderata sia valida solo in teoria, e questo ha scatenato il dibattito e le proteste dei dirigenti e dei lavoratori che operano nel settore dei Beni Culturali. La manifestazione contro la suddetta riforma è avvenuta davanti alla sede del Ministero in Via del Collegio Romano. Gli studiosi hanno criticato la “frettolosità e il decisionismo del ministro Franceschini” chiedendo un ripensamento sulla questione. Pierluigi Giroldini, della Soprintendenza Archeologica della Toscana e coordinatore dell’Api (Archeologici pubblici italiani) ha lanciato una petizione che ha già raccolto oltre ottomila firme, anche dall’estero (soprattutto dalla Francia) per far sì che quanto meno si apra una discussione, perché è pur vero che il MiBACT ha bisogno di una riforma “che però non va fatta senza consultare gli addetti ai lavori”.
Si procede quindi con l’analisi che gli effetti di questa riforma possono avere sui territori.

Innanzitutto, le Soprintendenze specificamente dedicate all’archeologia nelle diverse regioni sono frutto di una tutela dei beni archeologici che si è via via sviluppata nel corso dei decenni, e questo processo ha conferito alle stesse anche un alto grado di specializzazione nel proprio settore, che non potrà essere eguagliato dalle Soprintendenze uniche della nuova riforma con differenti peculiarità e con Dirigenti che si troveranno a trattare con del materiale archeologico ed umano che non è mai rientrato nella propria sfera di competenza fino ad ora.

Inoltre l’iter burocratico per l’intervento sul patrimonio archeologico sul territorio è allungato, dato che facendo le Soprintendenze locali capo ad un’altra Direzione, l’attività di comunicazione tra i due organi presenterà maggiori complicazioni. E per quanto riguarda l’adeguamento alla spendingreview, appare evidente che l’operazione di riorganizzazione non avverrà a costo zero, dovendo creare nuove sedi di Soprintendenze uniche o adeguare quelle esistenti, e considerando lo spostamento di risorse materiali e umane necessarie per l’adeguamento, col rischio di allungare i tempi e soprattutto con la mancanza di garanzie di tutela del patrimonio, dovendo le Soprintendenze entrare in contatto con materiale che non rientrava nelle proprie competenze e quindi con una maggiore difficoltà nel gestirlo.

Passando invece nello specifico alla Campania e ai Campi Flegrei, terre che sono impregnate di storia e di archeologia, per manifestare il dissenso rispetto a questa riorganizzazione, si parla in tono ironico di “riforma della riforma”. Infatti, una riforma che prevedeva un accorpamento era già stata effettuata pochi mesi fa, smantellando la storica Soprintendenza di Napoli, che fu accorpata alle altre provinciali, con sede a Salerno. Una scelta che aveva comportato già non pochi squilibri e delle serie difficoltà di gestione, considerando che, come già anticipato, si parla di città nate sopra le fondamenta tangibili e visibili di civiltà precedenti alla nostra e con una storia archeologica ricchissima.

Dunque, appariva evidente come una ricchezza dal punto di vista archeologico così importante, meritasse una distribuzione di Soprintendenze capillare o quantomeno presente sul posto. Gli squilibri di cui sopra però, sono aumentati nel momento in cui, con la prima riforma che si accingeva ad entrare in atto anche nella pratica, la Campania è stata oggetto, tra le altre regioni, della riforma del MiBACT con cui è cominciato l’articolo.

Ora, con la scomparsa della Soprintendenza archeologica che sarà accorpata con quelle di belle arti e paesaggio, è prevista la nascita di 4 Soprintendenze uniche nella Campania, e la nascita dei Parchi archeologici autonomi dei Campi Flegrei ed Ercolano, che sono passati così dallo sparire del tutto nella precedente riforma, ad essere ora autonomi. Due scossoni in rapida successione che hanno destabilizzato il modo di rapportarsi all’archeologia nella zona. E, con un patrimonio così ricco, dovendo quindi “maneggiare” una grande quantità di risorse, il rischio della Soprintendenza unica (così come già accennato per tutto il panorama archeologico italiano), è, come sostiene l’ex soprintendente archeologico di Napoli e Pompei Pier Giovanni Guzzo, quello che “Per vincolare un bene o una scoperta, occorre un procedimento amministrativo che imponga appunto il vincolo.

Quindi c’è un funzionario archeologo che ravvisa un interesse particolare e propone il vincolo. Il dirigente, se invece che archeologo è di formazione architetto oppure archivista, che strumenti ha per controllare? Rischia di sbagliare sia se accetta la proposta sia se la rifiuta”.
Lo stato di agitazione nel frattempo continua…

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