Costa Concordia, la verità è ancora lontana

Area dove è avvenuto il naufragio

Il 13 gennaio 2012 è stato il giorno di uno dei più grandi disastri marittimi degli ultimi anni: il naufragio della Costa Concordia davanti all’isola del Giglio, in cui persero la vita 32 persone. Questa settimana è tornato d’attualità per il processo d’appello al suo comandante Francesco Schettino, che era stato condannato a 16 anni e un mese di reclusione in primo grado l’11 febbraio 2015. Tuttavia la Procura Generale di Firenze nella persona di Giancarlo Ferrucci considerava la pena troppo morbida, chiedendo 27 anni e tre mesi, cioè un anno in più di quanto aveva richiesto la procura di Grosseto in primo grado, ma evitandogli il carcere. La difesa, nella persona di Saverio Senese, che affianca l’avvocato Laino, chiedeva invece l’assoluzione, cercando di allargare il ventaglio delle responsabilità anche per chi era sul ponte di comando che, secondo i legali, non coadiuvò il comandante nelle ultime scelte prima dell’impatto con gli scogli e nella successiva fase di evacuazione. Oltre alla ricerca di una maggiore responsabilità di Costa Crociere, che è stata comunque condannata al risarcimento ai familiari delle vittime.

Di tutta questa brutta vicenda, nell’immaginario collettivo ne è scaturito che il comandante Schettino è risultato il capro espiatorio ed unico responsabile del disastro. Le accuse riguardano la manovra sbagliata e azzardata di fare un “inchino” davanti all’isola del Giglio, la famosa telefonata in cui il comandante della Capitaneria di Porto Gregorio De Falco ordinava allo stesso di tornare a bordo, e di conseguenza facendo leva anche sull’idea che il comandante deve essere l’ultimo a lasciare la nave, che è comunque una legge che va interpretata valutando la situazione del momento.

Ma andiamo ad analizzare alcune contraddizioni di questa drammatica vicenda. Malgrado le sue responsabilità, si parla ormai più di un processo al comandante Schettino che di un processo per accertare la verità, che è ancora molto dubbia. Infatti l’accusa maggiore rivolta all’ex comandante è quella di aver minimizzato lo squarcio di 72 metri di lunghezza e alto 7, che ha portato la nave ad imbarcare acqua ponendo fuori uso i motori principali e i generatori a gasolio causando il black out, nel tentativo di prendere tempo. Errore che, secondo gli accusatori, avrebbe ritardato fatalmente la constatazione dell’allerta.

La scelta di fare l’inchino, non è in realtà un azzardo solo del comandante in questione, in quanto è tutt’oggi una pratica diffusa che sono solite attuare molte navi da crociera laddove la bellezza del paesaggio lo richiede.

“Il cosiddetto inchino è una definizione folkloristica della più corretta navigazione turistica: una navigazione sotto costa per consentire ai passeggeri di scattare foto delle bellezze che si vanno a vedere e, quando ci sono grandi navi, altrettanto fanno coloro che sono a terra. Basta vedere cosa succede a Venezia quando naviga una nave da crociera nel canale della Giudecca.

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San Marco – Venezia

Ora, criminalizzare questo tipo di navigazione “perché troppo vicino alla costa” lo ritengo senza senso. È ridicolo imporre una distanza minima di 2 miglia (3,7 Km) dalla costa quando la stessa nave si trova spesso a navigare nel citato canale della Giudecca largo appena 250 metri (quindi quando è al centro la nave si trova a circa 100 metri da entrambe le estremità), con una profondità massima di 12 metri (!) ed è trafficato da una bolgia di motoscafi, taxi, traghetti, gondole e chi più ne ha più ne metta. Oppure come accade per la navigazione nei Fiordi o in qualunque stretto del mondo.

Un singolo errore non può pregiudicare una normale procedura spinti dall’emozione del momento. Le navi continueranno (ahimè) a naufragare come gli aerei a cadere. Bisogna correggere i comportamenti sbagliati dei singoli, non le manovre che possono essere oggetto di disattenzione. A chi non è capitato di ripetere la solita manovra con la macchina fino al giorno in cui sente un colpo; si accorge che ha “toccato” e si chiede “come diavolo ho fatto?”. Queste le dichiarazioni rilasciate da un esperto di mare e navigazione marittima da oltre 50 anni.

Per effettuare un inchino è normale che per un breve lasso di tempo si entri in rotta di collisione con gli scogli per poi virare in tempo (come accade normalmente per una manovra di atterraggio di un aereo prima di toccare il suolo), in modo da navigare il più vicino possibile alla costa.”

A quanto pare però, in occasione di questa virata, il timoniere della Concordia ha frainteso l’ordine di Schettino di dare timone per 10° e poi per 20° a sinistra dopo 2 secondi, accostando invece a dritta. Quando Schettino ha quindi ordinato tutta la barra a sinistra per evitare il contatto, era ormai troppo tardi. E la nave ha impattato contro il più piccolo degli scogli del Giglio, causando lo squarcio. Inizialmente, subito dopo l’impatto, si era scritto di un’abile manovra del comandante per aver adagiato la nave sugli scogli in modo da ridurre i danni. Considerando le dimensioni di una nave da crociera di quel genere, però, non è facile come accade dall’abitacolo di un’autovettura rendersi conto della portata di un tamponamento ( in cui spesso si ha comunque bisogno di scendere dal veicolo per accertarsene), quindi il comandante dal ponte di comando, che probabilmente è stato il primo ad esserne sorpreso dato il fraintendimento del suo ordine, ha bisogno di essere informato dall’equipaggio predisposto per rendersi conto della situazione. Infatti, la nave ha numerosi compartimenti stagni al di sotto della linea di galleggiamento, e l’allagamento di solo alcuni di essi, non compromette il galleggiamento della stessa, dando la possibilità di continuare la navigazione, seppure con minore riserva di stabilità. Il comandante ha quindi bisogno di tempo per fare i dovuti calcoli con gli appositi software distabilità approvati dalle compagnie stesse e le proprie valutazioni basandosi sulle informazioni ricevute dal team di ufficiali, per non rischiare di ordinare un inutile abbandono nave e causare panico immotivato (un ordine non di poco conto quando si ha la responsabilità di così tanti passeggeri). Probabilmente, chiunque fosse stato informato a dovere, sarebbe stato un folle a non annunciare immediatamente l’emergenza generale.

Come già accennato in precedenza, è divenuta celebre anche la telefonata del comandante della Capitaneria di Porto Gregorio De Falco che è stato celebrato da molte persone estranee alla vicenda come un eroe, per aver intimato al comandante Schettino di risalire sulla nave una volta che questi aveva raccontato di essere stato sbalzato via dal ponte 4. Ma, andando ad analizzare la situazione, cosa c’è di eroico nell’urlare nei confronti di un comandante che ha appena subito un naufragio e che in una probabile situazione di shock deve invece cercare di mantenere la calma per contenere i danni? Peraltro non essendo sul posto. Tanto è vero che l’ordine di De Falco di “risalire la biscaggina” (o biscaglina, termine forse più corretto) appare totalmente fuori luogo se si pensa che la biscaglina è una strettissima scaletta di corda che in quel momento era occupata dai passeggeri della nave che scendevano in fila indiana per evacuare la stessa. Quindi appariva obiettivamente impossibile per il comandante Schettino bloccare il flusso dei passeggeri che scendevano impauriti per poter risalire a bordo egli stesso.

L’ultimo interrogativo è il perché il comandante abbia abbandonato la nave prima dei passeggeri. Nonostante non ci sia, tutt’ora, chiarezza sulle dinamiche, il comandante ha dichiarato di essere al ponte 4 dov’erano le scialuppe per seguire le operazioni di evacuazione assolvendo ai suoi compiti finché ha potuto, quando poi è caduto proprio in una di queste, data la difficoltà di restare in equilibrio su di una superficie fortemente inclinata. La causa maggiore del disastro è stato infatti lo sbandamento subito dalla nave e la conseguente inclinazione, che ha contribuito a scatenare il panico anche tra l’equipaggio. Con la disgregazione di tutte le componenti che avrebbero dovuto fornire supporto al comandante, informarlo cioè della situazione nelle varie zone della nave che egli era impossibilitato a verificare e la mancanza di contatto radio, l’operazione di evacuazione è quindi diventata ingestibile. Il conseguente panico ha quindi compromesso il regolare svolgimento di tutte le procedure.

Sarebbe invece futile concentrarsi sul gossip costruito intorno alla vicenda riguardo voci di un’eventuale fuga di Schettino in taxi (su un’isola di 24 km quadrati?) o di ospiti non necessari in plancia di comando. L’unica fonte di conforto per i familiari delle vittime sarebbe quella di avere chiaro il quadro della situazione e che la verità, che dopo 4 anni ancora non si conosce, venga a galla.

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Scoglio su cui è avvenuto l’impatto

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