Referendum. Sempre più serrato il dibattito tra SI e NO

In un periodo in cui la politica occupa gran parte dei tg nazionali, tra elezioni presidenziali americane e dibattito sulla situazione nostrana, il 4 dicembre gli italiani sono chiamati a votare per il referendum costituzionale riguardante la riforma Boschi. Non si tratta di un referendum abrogativo, quindi non c’è bisogno del raggiungimento del quorum, bensì conterà solo la vittoria del Si o del No. Il referendum riguarda l’approvazione o meno del testo della suddetta riforma concernente disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione. Sono in realtà molti quesiti, che riguardano vari aspetti della politica nazionale, quindi andiamo ad analizzarli.

Il bicameralismo paritario è una forma di bicameralismo che assegna identici poteri alle due camere che formano il Parlamento: Camera dei deputati e Senato. Oggigiorno, le due camere non sono proprio identiche per quanto riguarda le modalità di elezione, ma hanno pari poteri per quanto riguarda il voto sulla fiducia o su un testo di legge, che per diventare esecutivo ha bisogno di entrambi i sì sullo stesso testo, mentre in caso di modifica deve essere rimesso al voto all’altra camera. E questa sarebbe la situazione che si confermerebbe se dovesse vincere il No. La riforma, nel caso invece di vittoria del Si, prevede che la Camera dei deputati sia la sola che può votare la fiducia al governo ad approvare le leggi, con una perdita di potere quindi del Senato, che potrebbe esaminare e proporre modifiche che però i deputati possono ignorare. Tutto questo in favore di costi minori ed una maggiore rapidità dell’iter burocratico per la promozione delle leggi, che però, dovendo passare solo per la Camera di cui 340 seggi su 630 vengono assegnati alla lista vincitrice, rischierebbero di risultare unilaterali. I senatori, inoltre verrebbero scelti dai consigli regionali tra i propri membri e i sindaci del territorio, mentre le elezioni Politiche resterebbero in atto solo per la Camera. La questione riguarda soprattutto i provvedimenti urgenti, di cui, ad oggi, l’esecutivo non dispone di una corsia preferenziale, introducendo invece il “voto a data certa” per quanto riguarda provvedimenti essenziali per il governo, che darebbe forse una maggiore velocità di reazione a questioni delicate, ma con la speranza che non se ne abusi, come talvolta appare esser successo in passato con alcuni decreti legge.

Quanto al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), che è un organo consultivo del governo, delle camere e delle regioni, resterà in vigore in caso di vittoria del No, mentre sarà abolito in caso di vittoria del Si

Per quanto riguarda il Titolo V della Carta, è quello che regola i rapporti tra Stato e Regioni. Ad oggi, oltre alle distinte competenze che hanno i due organi, vige anche una normativa sulle materie a competenza concorrente, e cioè che in senso federalista, lo Stato determina i principi fondamentali e le Regioni possono legiferare nel merito. Se invece dovesse vincere il Si, si annullerebbero le “competenze concorrenti”, facendo aumentare le competenze dello Stato e lasciando l’esclusiva alle Regioni per altre poche competenze. Inoltre, lo Stato può intervenire in questioni di non diretta influenza per tutelare l’interesse nazionale. Questa riforma eviterebbe alcuni fraintendimenti tra Stato e Regioni, ma d’altro canto occorrerebbe uno Stato che riesca ad avere interesse di tutta la nazione nelle sue più piccole componenti contemporaneamente per non lasciare indietro nessuno, dato che le Regioni non potranno più assolvere a questa funzione, e ci si dovrebbe auspicare un’equa distribuzione di ricchezza (di denaro, infrastrutture e personale).

In pieno dibattito fra gli schieramenti che sponsorizzano l’una o l’altra posizione, l’ultima parola spetta ai cittadini, che il 4 dicembre decideranno il futuro della propria politica nazionale.

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