Una nuova ricerca svolta con la collaborazione degli istituti Officina dei materiali, Nazionale di ottica e di Fotonica e nanotecnologie del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iom, Cnr-Ino e Cnr-Ifn), ha mostrato che è possibile tenere insieme particelle con carica negativa, che di solito si respingono. Lo studio sulla Photon Bound Exciton, pubblicato su Nature Physics, apre inedite opportunità per la creazione di materiali innovativi da usare nello sviluppo di nuove tecnologie
Cariche positive e negative si attraggono, formano atomi, molecole e tutto ciò che comunemente chiamiamo materia. Al contrario, cariche negative si respingono e, per poter formare oggetti come gli atomi, con legami al loro interno, è necessaria una “super colla”, in modo da compensare la repulsione elettrostatica esercitata dalle particelle e così tenerle insieme. In uno studio pubblicato sulla rivista Nature Physics, un team internazionale di ricerca, con la collaborazione di Istituto officina dei materiali (Cnr-Iom) di Trieste, Istituto nazionale di ottica (Cnr-Ino) di Trento e Istituto di fotonica e nanotecnologie (Cnr-Ifn) di Milano del Consiglio nazionale delle ricerche ha dimostrato per la prima volta che i fotoni, le particelle che compongono la luce, possono essere usate per tenere insieme particelle con carica negativa, creando una nuova forma di materia chiamata Photon Bound Exciton. Il team, guidato dall’università di Southampton nell’ambito del progetto europeo FET-Open MIR-BOSE, è guidato da Raffaele Colombelli del CNRS e Université Paris-Sud per verificare una predizione teorica pubblicata solo l’anno precedente, fabbricando un nano-device capace di intrappolare gli elettroni dentro pozzi quantici nanoscopici.
“Prima abbiamo sintetizzato questo dispositivo nanometrico, poi lo abbiamo racchiuso tra due specchi d’oro, che hanno intrappolato i fotoni e focalizzato l’energia luminosa vicino agli elettroni, aumentando notevolmente l’interazione tra luce e materia. È stato dunque osservato che un elettrone rimane intrappolato nel pozzo, legato agli altri elettroni a carica negativa in una nuova configurazione elettronica stabilizzata dal fotone”, spiega Giorgio Biasiol del Cnr-Iom, che ha guidato il gruppo che si è occupato della crescita delle strutture a pozzo quantico con la tecnica MBE (Molecular Beam Epitaxy), mentre Iacopo Carusotto del Cnr-Ino si è occupato della progettazione dell’esperimento.
“Questo esperimento ha confermato ciò che ci si aspettava alla luce dell’effetto fotoelettrico, la cui scoperta è valsa a Einstein il premio Nobel nel 1921, e sostanzialmente dimostra la possibilità di progettare nuovi atomi artificiali, ampliando notevolmente l’elenco dei materiali disponibili per applicazioni scientifiche e tecnologiche, e in particolare dispositivi fotonici. Si è così verificata la possibilità di utilizzare la luce come una sorta di cerniera subatomica, capace di legare insieme gli elettroni per creare nuovi oggetti simili ad atomi”, conclude Biasiol.
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