Nel Parco archeologico di Baia si racconta una storia d’amore da più di 1880 anni. Avviene attraverso un mosaico fatto realizzare dall’imperatore Adriano e si trova nella parte bassa delle cosiddette Terme Romane di Baia proprio nel settore che porta il suo nome.
Narra la grande storia d’amore tra l’imperatore ed Antinoo, un giovinetto che incontra durante una visita in Bitinia, nel nord dell’attuale Turchia, nel 123 d.C. Ha 12 anni, quando lo prende nella sua corte e lo fa trasferire a Roma per educarlo ed istruirlo. Al suo ritorno in patria nel 125, lo segue con particolare interesse. Resta affascinato da questo adolescente le cui forme fisiche vengono modellate dalla crescita. Il consenso del giovane consolida il rapporto e la sua presenza diventa sempre più partecipe nonostante la rivalità della moglie Vibia Sabina. La passione diventa travolgente e nel 128 Adriano riparte per le sue campagne militari nelle province dell’Impero assieme al suo favorito diventato oramai inseparabile compagno di vita.
Antinoo prende il posto che una volta era di Vibia Sabina, lo segue ovunque e ne condivide le gioie ma anche l’apprensione per lo stato di salute del suo amato che soffriva di idropisia. Secondo gli àuspici ad Adriano restavano pochi anni di vita e per prolungarla bisognava offrire agli Dei la vita di una persona a lui molto cara. L’allusione, neppure tanto velata, era rivolta ad Antinoo ma il consiglio fu rifiutato sdegnosamente e mai preso in considerazione nonostante l’insistenza degli indovini ad ogni manifestazione di una crisi.
Nel 130 d.C. durante un’escursione in barca sulle acque del Nilo, accade la tragedia. Antinoo muore annegato in circostanze misteriose. Aveva 19 anni.
La disperazione dell’Augusto è indiscutibile, talmente evidente da essere criticato e persino deriso per i suoi pianti. Deve sopportare anche le dicerie delle malelingue che insinuano sia stato ammazzato o quanto meno indotto al suicidio dall’entourage di corte. Dione Cassio, invece, afferma che si è trattato di un suicidio meditato, un gesto sacrificale nei confronti del suo amato imperatore: offrì volontariamente la sua vita agli Dei in cambio di quella del suo principe.
La narrazione musiva inizia proprio da qui, dal racconto dello stesso Adriano che pretendeva di approvare personalmente tutte le opere dedicate ad Antinoo.
Nella parte inferiore si vede il giovane Antinoo, nel pieno della sua gioventù, correre con una lepre in mano. Ovidio afferma che tra amanti era uso comune offrirla come pegno d’amore e Antinoo offre la sua vita correndo, senza esitazione, avvolto in una sciarpa svolazzante con due cuori a testimonianza del suo amore.
Per mitigare la grave perdita e perpetuarne la memoria, Adriano fa riprodurre le sembianze del giovane amante in tutte le sconfinate province dell’impero. In suo onore nomina una costellazione e fonda addirittura una città: Antinopolis.
Ne proclama perfino la divinizzazione, privilegio riservato esclusivamente ai componenti della famiglia imperiale. Nasce così il dio Antinoo.
Lo vediamo nella parte centrale, ritratto da adulto con la sua inconfondibile capigliatura ma dal piglio serioso che si addice ad una divinità. Adriano l’ha consacrato al dio Osiride, il dio egizio della Resurrezione, e non poteva essere altrimenti visto che ha subìto lo stesso destino nelle stesse acque, seppure in circostanze diverse. Viene rappresentato come “Osiride vegetante” ovvero con l’aureola di germogli di grano a simboleggiare la sua potenza rigenerativa. Il simbolo della resurrezione ripreso dalla religione cattolico-cristiana con l’usanza dei Sepolcri.
Nella parte superiore invece è rappresentato l’addio terreno e la promessa di Adriano di raggiungerlo nell’aldilà. Il calice con l’acqua zampillante simboleggia la vita, la fons perennis ovvero la fonte della rinascita. Sulle sue anse poggiano due colombe poste una di fronte all’altra. Esse rappresentano le anime di Adriano ed Antinoo che dissetandosi, danno origine alla trasmigrazione e alla conseguente ricongiunzione nell’eternità.
Ma c’è un altro particolare molto evidente: i viticci.
Questi sono elementi tipici delle piante rampicanti che non avendo fusto si aggrappano e si avvolgono tenacemente ai sostegni che trovano per innalzarsi verso il cielo. Di norma, nella simbologia, sono collegati alla vite e all’edera e diventano anche motivo ornamentale ma in questo caso non ci sono foglie poiché il rampicante in questione non descrive una pianta bensì l’amore che nasce alla base, dove c’è Antinoo giovinetto, con due ramificazioni (Adriano e Antinoo) che avviluppano le tre figure e salgono in alto dove raggiungono il culmine e si congiungono con un anello.
La solidità dei suoi viticci, sono il simbolo della fedeltà: il legame d’amore che si snoda con affettuosi abbracci.
Adriano visse altri 8 anni dopo la perdita di Antinoo. Gli ultimi li trascorse qui a Baia e chissà quante volte, contemplando questo mosaico, il suo sguardo si sarà perso nei ricordi.
Morì a Baia il 10 luglio del 138. Aveva 62 anni.
Se vuoi approfondire leggi anche “Il mosaico di Osirantinoo” in pdf